«Questi benedetti libri sono il mio vizio, e conoscendo che mi scomoda, non ostante non so disfarmene, perché qui la passione domina». Giuseppe Pelli, 10 gennaio 1764. Libido Legendi è l'angolo dei lettori di LIBRidO - Laboratorio di Studi e Servizi Culturali, uno spazio dedicato a tutti coloro che condividono con noi il piacere della lettura e l'amore per i libri.
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mercoledì 13 febbraio 2013
Trent'anni di marcia antimafia (26 febbraio 1983-26 febbraio 2013)
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martedì 5 febbraio 2013
Fai bei sogni
Massimo
Gramellini, Fai bei sogni, Milano, Longanesi, 2012, 223 pp., ISBN
978-88-304-2915-4.
Ho
imparato a diffidare dai libri presentati come best-seller mondiali, con
centinaia di migliaia di copie vendute. Da questo punto di vista, il libro di
Massimo Gramellini suonava veramente minaccioso (‘Il libro dell’anno. 1 milione
di copie’, dove i punti esclamativi sono semplicemente sottintesi), ma ho dato
fiducia al giornalista intelligente, ironico e mai scontato. E la fiducia non è
stata mal riposta.
Gramellini
ripercorre la propria vita, segnata irrimediabilmente, all’età di nove anni,
dalla perdita prematura della madre che, salutandolo per l’ultima volta prima
di andare a dormire, gli dice «Fai bei sogni, piccolino», da cui il titolo del
libro. L’augurio si trasforma, invece, nell’incubo personale dello scrittore,
tale Belfagor, cioè «un demone
sovrappeso (…). Un mostro molle e spugnoso che si alimentava delle mie paure:
sfiducia, rifiuto, abbandono» [p. 58] e che lo accompagna per tutta la vita,
fino ad una tardiva riconciliazione con se stesso dovuta ad una rivelazione
inaspettata ed alla presenza di una donna accanto, la moglie Elisa, che riempie
il vuoto lasciato dalla perdita della presenza femminile della madre.
Quello che rende straordinariamente coinvolgente
questo libro e che, credo, ne abbia decretato il successo, è la capacità che
Massimo Gramellini possiede di descrivere l’animo umano, partendo dalla sua
vicenda personale, con semplicità e leggerezza tali da riuscire a coinvolgere
qualsiasi tipologia di lettore, che si compenetra nella storia narrata e si
identifica nel suo percorso catartico. La tematica dell’abbandono, intorno a
cui ruota il libro, e della sofferenza che l’abbandono determina si solleva,
così, dall’ambito personale dell’autore per assurgere a livello universale, con
una precisione nella resa che solo la poesia raggiunge nei casi più fortunati.
Le frasi da riportare, come esempio sarebbero veramente tante. Una per tutte:
«Non essere amati è una sofferenza grande,
però non la più grande. La più grande è non essere amati più. Nelle
infatuazioni a senso unico l’oggetto del nostro amore si limita a negarci il
suo. Ci toglie qualcosa che ci aveva dato soltanto nella nostra immaginazione.
Ma quando un sentimento ricambiato cessa di esserlo, si interrompe brutalmente
il flusso di un’energia condivisa. Chi è stato abbandonato si considera
assaggiato e sputato come una caramella cattiva. Colpevole di qualcosa
d’indefinito». [pp. 28-29]
Gramellini,
nella sua ‘poesia in prosa’, sforna delle descrizioni da manuale di sentimenti
e stati d’animo in cui è impossibile non riconoscersi, e, parallelamente,
provare una sorta di conforto nella certezza di capire ed essere capiti, nel
carattere universale di certi sentimenti.
A tutto
questo si unisce uno stile deliziosamente ironico e quasi geniale in
determinate trovate, che fa ridere, fa piangere e fa riflettere, soprattutto
nelle pagine dedicate a quel bambino che è stato, e che ancora si porta dentro,
ibernato nell’istante di quel fatidico giorno, a cui guarda con un sorriso
tenero e malinconico per la fragilità dei suoi nove anni messa a dura prova da
un dolore tanto grande. La domanda che si pone Gramellini: «Volevo essere rassicurato sulla mia
ossessione: che la ferita dell’infanzia non mi avesse segnato l’esistenza in
modo inesorabile» [p. 74] è la stessa che ci poniamo noi come lettori:
avremmo goduto della stessa creatività, della stessa ironia che il dolore della
vita ha reso in alcuni punti amaro sarcasmo, se Gramellini non avesse subito
questa immensa e incolmabile perdita? Questa domanda resterà senza risposta, ma
a noi tutti resta Gramellini: e c’è solo da ringraziare.
Piccola
nota a margine: i titoli dei paragrafi in cui è suddiviso il romanzo valgono
già il prezzo del libro!
Agata
Di Raimondo
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L’ultima estate di Catullo
Alessandro
Banda, L’ultima estate di
Catullo. Romanzo, Parma, Guanda, 2012, 195 pp., ISBN 978-88-6088-156-4.
Alessandro
Banda, docente di scienze umane a Merano, appassionato di classici greci e
latini, è l’autore di questo romanzo, che non vuole essere una ricostruzione
storica dettagliata della vita di Catullo, bensì una descrizione di quello che
sarebbe potuto essere il suo mondo interiore, i suoi sogni, i suoi desideri e
le sue preoccupazioni; descrizione assolutamente condivisibile, che ben
descrive la visione introspettiva di un poeta - di un uomo - che aldilà del
romanticismo e del cinismo nei confronti dell’amore disilluso, tanto declamati
nei libri di letteratura latina, mostra il suo lato triste, riflessivo, solo,
infelice: tutte sensazioni ben deducibili dalla lettura del suo Carmi, ma mai troppo approfonditi dai
testi scolastici.
Banda
riesce a rendere tali impressioni senza però incappare nell’infelice ed
anacronistico errore di rendere il personaggio-poeta troppo contemporaneo e
attuale nel modo di esprimersi, o di parlare, o di osservare.
Anche
gli “orrori” cronologici sono scongiurati, poiché si parte sempre da un dato
certo, veritiero, accertato, dal quale tesse poi, come un esperto narratore
epico, dialoghi e intrecci.
Gaio
Valerio Catullo è nato a Verona nell’84 a. C. circa e si traferisce a Roma
intorno al 61-60 a. C. È il primo poeta d’amore latino di cui si ha
testimonianza, è il primo che ha descritto l’Amore come doppia coesistenza di
due sentimenti opposti, nel suo carme 85, il cui incipit è odio et amo,
che bene spiega la sofferenza dell’Amore.
La
“memoria”, il “ricordo”, presentato sin dall’inizio con la metafora delle onde
che il poeta osserva dalla villa paterna, sono il leitmotiv dell’intera narrazione.
La
villa paterna, dove spesso si rifugia, è presentato come un luogo
dall’atmosfera e dal tempo indefiniti, che culla il giovane Catullo e lo
allontana dalle sue pene, e lo conduce in un percorso propedeutico per la sua
psiche fino a ripercorre le tappe della sua vita.
Molte
sono le allusioni a fatti storici, come il varco del Rubicone [p. 23], così
come le citazioni e gli spunti letterari; si veda, ad esempio, la
riformulazione della poesia della poetessa di Lesbo alle pp. 40-41, che nella
realtà ispirò Catullo per suo breve carme, il 51. Sempre di gusto saffico sono
le righe che richiamano chiaramente l’Inno
ad Afrodite [pp. 50-51], nelle quali si fa allusione ad un «trono
variegato» ed a un amore che se «fugge, ti inseguirà; se non accetta regali,
presto ti sommergerà lei, di regali. Se non ama, amerà, benché non voglia».
Tra le
pagine del romanzo trova posto anche la sollecita messaggera Nape, l’ornatrix di Ovidio, qui descritta come
ancella dall’indole superiore rispetto alle sue pari.
Diverse
pagine sono dedicate all’abbondante Cena di Trimalcione, con descrizioni tratte
fedelmente dal Satyricon di Petronio.
Si fa
anche menzione di Abrasax, quando si ricorre, come ultimo rimedio per un Amore
disperato, ai filtri d’Amore, anche questi di chiara eco classica.
Il
resto del romanzo è pregno della duplice sensazione che
solo un vero Amore può provocare, l’odio e l’amore, il volere possedere e il
respingere fino a desiderare la propria morte, pensata come ultimo e unico atto
dell’eterno possesso, l’odi et amo
catulliano, per l’appunto.
È Clodia-Lesbia,
sorella di Clodio, e moglie del proconsole Quinto Cecilio Metello Celere
l’oggetto dei suoi peggiori patimenti e delle sue più alte gioie. Il
personaggio di Lesbia è descritto egregiamente, i suoi gesti ed i suoi occhi
ammiccanti sono descritti con meticolosa cura, tale da essere resi quasi
visibili agli occhi del lettore, che solo in questo modo è in grado di
comprendere la patologia e la dipendenza di Catullo nei confronti di questa
donna.
Amore
struggente, Amore a tratti malsano e malato, che spinge il poeta ad andare via
da Verona, via da Roma, fino all'assolata Bitinia, sulle rive di un mare
lontano.
Il
romanzo termina appunto in Bitinia, dove incontra Fotide, giovane e vivace
prostituta, che lo inizia ai misteri religiosi, e che, contrariamente da quanto
è testimoniato dalle fonti, lo distoglie dal male d’amore causato dal suo
eterno sentimento.
Un
romanzo che stimola il lettore, che lo porta alla continua ricerca dei
collegamenti e delle citazioni; volume compreso ed apprezzato certamente da chi
“ama” i poeti del passato e che li conosce tanto da discernerne e riconoscerne
passi e rimandi, senza correre nel blando errore di scambiarli per farina del
sacco dell’autore; un romanzo dai sapori esotici e lontani, che porta ad
immaginare luoghi sconosciuti e persi nel tempo.
La
struttura narrativa è ad anello.
Unica
pecca è la mancanza di un apparato di note a fine volume, che sarebbe potuto
essere un chiaro supporto alla lettura, soprattutto per le molteplici citazioni
presenti nel testo.
Banda
ha inoltre pubblicato nel 2001 Dolcezze
del rancore per Einaudi, nel 2012 Due
mondi e io vengo dall'altro per Laterza; nel 2003 La verità sul caso Caffa, nel 2005 La città dove le donne dicono di no, nel 2006 Scusi, prof, ho sbagliato romanzo, nel 2010 Come imparare a essere niente, tutti per Guanda.
Agostina
Passantino
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Ballata per Fabrizio De Andrè
Sergio Algozzino, Ballata per Fabrizio De Andrè, Padova,
Becco Giallo, 2012, 127 p., ISBN 978-88-97555-10-0.
Di libri su Fabrizio De Andrè ne sono stati editi tanti. Questa ballata,
in forma di libro a fumetti, però, non è eseguita dalla voce di un amico, un
figlio o un critico musicale, ma da chi meglio lo conosceva: i personaggi
stessi delle sue canzoni. Marinella, Bocca di Rosa, Andrea, Piero, Carlo
Martello, il Giudice, Geordie, Prinçesa, il Pescatore e altri si trovano
riuniti insieme a raccontare, attraverso la propria, la storia – o l’anima, è
lo stesso – del loro autore. E si comprende come ciò sia inevitabile: «Lui ci
ha donato la vita oltre la morte, oltre il tempo e lo spazio. E noi adesso
gliela restituiamo» [p. 52]. Delicato e profondo al contempo, in un’atmosfera
rarefatta, il libro – a più livelli – riesce a tratteggiare fragilità,
sbruffonaggini, livori e miserie umane; è ricco di citazioni, rimandi, accenni,
sottintesi ed allusioni, sia testuali che visuali, più o meno palesi, che
meglio vengono esplicati nel capitolo Dietro
le quinte [p. 71] che l’autore pone in coda alla Ballata. Qui si svela come l’iter
creativo, al di là di ogni programma a tavolino, abbia in effetti seguito i
“capricci” dei personaggi che, lontani dall’esser statiche pedine, hanno voluto
imporsi a loro modo: alcuni si sono defilati in silenzio, altri si son fatti
avanti in punta di piedi o a gomitate, ma tutti hanno scelto da sé il proprio
ruolo. Il libro è corredato da una Cronistoria
[p. 97] a cura di Francesco Vettore, già curatore della mostra itinerante
dedicata a De Andrè Bocca di Rosa e altre
storie; seguono una Discografia
essenziale [p. 109] e il capitolo Per
saperne di più [p. 121] con indicazioni bibliografiche, sitografiche,
cinematografiche e teatrali sull’artista ligure. Questa è la seconda edizione,
riveduta e acquerellata, di un’opera del 2008 edita in bianco e nero da Sergio
Algozzino, che ha qui congiunto le sue passioni: il fumetto e la musica
d’autore. Musicista, colorista, disegnatore, docente presso la Scuola del
Fumetto di Palermo, l’autore ha molto lavorato al fumetto italiano e straniero,
collaborando con Disney, Panini Comics, Tunuè e Soleil Edition; ha pubblicato
nel 2005 il saggio Tutt’a un tratto. Una
storia della linea nel fumetto, e nel 2007 il libro a fumetti Pluie d’eté (tradotto poi in Pioggia
d’estate, 2008).
Eloisia Tiziana Sparacino
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Gutenberg in periferia. L’arte della stampa nei comuni iblei
Giuseppe
Micciché, Gutenberg in periferia. L’arte della stampa nei comuni iblei,
Ragusa, Centro Studi “Feliciano Rossitto”, 1996, 93 pp.
Gli
studi sull’attività editoriale e tipografica in Sicilia, dalle origini ai
giorni nostri, risultano numericamente limitati. Il vuoto risulta ancor più
grave relativamente ai comuni iblei. Questo lavoro, pur’essendo “datato”, può
risultare molto utile a chi si approccia a tali argomenti permettendo di
conoscere la capacità tecnica e l’elaborazione culturale – limitatamente al
campo editoriale-tipografico – dei comuni appartenenti alla provincia più a sud
d’Italia.
Fino alla caduta del regime borbonico, la
dipendenza di questo territorio da altre aree più progredite e meglio dotate fu
totale. Gli studiosi erano soliti stampare le proprie opere in tipografie di
Palermo, Messina e Catania.
Il saggio, dopo l’introduzione dello stesso autore,
è suddiviso in quattordici paragrafi: L’interscambio culturale nei secoli
XV-XVIII pp. 7-9; I primi autori iblei pp. 9- 13; Prime tipografie
nella Sicilia sud orientale pp. 13-17; All’indomani dell’Unità d’Italia
pp. 17-19; Un pioniere dell’arte tipografica pp. 19-23; Nuove
iniziative pp. 24-29; Un nuovo astro: la tipografia Piccitto e Antoci
pp. 29-31; Le tipografie Velardi, Lutri Secagno, Avolio pp. 31-39; Lo
sviluppo della tipografia Piccittoe Antoci pp. 39-44; Sullo scorcio del
XIX secolo pp. 44-50; La crisi della tipografia Piccitto e Antoci
pp. 50-56; Nel ‘900 pp. 56-60; La ripresa dopo l’alluvione pp.
60-66; Una positiva mobilità pp. 66-70. Chiudono lo scritto una piccola
bibliografia [p. 71] e un appendice con le stampe più rilevanti dei tipografi
iblei dal 1860 ai primi del ‘900 [pp. 73-92].
Anche se in ritardo rispetto al resto della
Sicilia, dall’Unità d’Italia in poi il quadro risulta abbastanza ricco. Dalle
notizie essenziali su La Porta e Nicotra, pionieri di un’attività assente in
area iblea, alle imprese dei Piccito e Antoci, i Velardi, ecc. in cinquant’anni
di lavoro è analizzata la produzione editoriale di centinaia di libri,
opuscoli, periodici, volantini e decine di incisioni e stampe.
Storia di uomini e di opere attraverso cui è
possibile conoscere un’espressione della capacità creativa e realizzatrice
della gente iblea.
Biagio
Bertino
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La rivoluzione dei gelsomini. Il risveglio della dignità araba
Tahar Ben Jelloun,
La rivoluzione dei gelsomini. Il
risveglio della dignità araba, Milano, Bompiani, 2011, 140 p., ISBN
978-88-452-6774-1.
Che
fine ha fatto la primavera araba?
Quello straordinario movimento di ribellione spontanea è davvero riuscito a liberare
le popolazioni che hanno deciso di porre fine alle vessazioni e alla dittatura?
È questa la domanda cui cerca di dare risposta Tahar Ben Jelloun in questo
libro. L’analisi iniziale è di assoluta condanna nei confronti dei dirigenti
arabi. Tunisia, Marocco, Yemen, Algeria, Egitto, Libia: Stati diversi,
accomunati da politici che hanno confuso il paese con casa loro, e disposto dei
beni e dei cittadini come se fossero proprietà privata.
Repressioni,
arresti indiscriminati, torture, servizi segreti. Non è un mistero che Mubarak,
Ben Ali, Gheddafi non brillassero per rispetto della democrazia e dei diritti
umani. Eppure l’Europa, in più occasioni, ha deciso di chiudere entrambi gli
occhi perché è preferibile il silenzio assenso a tutela degli accordi economici
e dei grossi affari che potevano garantirle i capi di stato arabi. Per fare un
solo esempio, l’Italia è il secondo partner commerciale della Tunisia dopo la
Francia e il terzo investitore straniero: l’ENI investe in Tunisia.
Ufficialmente però la giustificazione dei ministri degli esteri di molti paesi
europei è che questi governi servono a scongiurare il pericolo di una
repubblica islamica stile Iran.
Ma
davvero l’unica alternativa possibile è
la scelta tra dittatura e integralismo islamico?
Sebbene
Ben Jelloun sia scettico riguardo all’ipotesi di un ritorno al potere degli
integralisti, i fatti recenti purtroppo ci dicono il contrario. Basti guardare
a cosa è accaduto in Egitto dopo le rivolte e il trionfo dei Fratelli
Musulmani, o a ciò che sta accadendo in Libia, dopo l’eliminazione del
colonnello Gheddafi e della sua famiglia, oppure all’Algeria dove sono ancora
brucianti le ferite per la strage di In Amenas. L’Egitto, un tempo «faro della
cultura e della civiltà araba» [p.21], si è trasformato in un paese spaccato
dove, appena un mese fa, il 64% della popolazione – pur tra mille proteste e
denunce di brogli – ha votato un referendum che introduce una costituzione
filoislamista.
È vero
che quelle rivoluzioni – che l’autore definisce «una poesia che sgorga dal
cuore di un poeta che scrive sotto dettatura della vita, che si ribella e vuole
giorni migliori» [p. 15] – sono state determinanti poiché sono riuscite a rovesciare
regimi oppressivi; ma è altrettanto vero che non sono state affatto risolutive
per i problemi reali dei paesi in cui si sono verificate. Non si tratta di
sposare tesi complottistiche riguardo ai rivoluzionari, o di chiedersi
provocatoriamente chi li ha armati e a che scopo. Si tratta di registrare un
fatto indiscutibile (in quei paesi è scoppiata la guerra civile) e di chiedersi
il perché sia accaduto.
Il
testo non si occupa, se non marginalmente, di questioni cruciali per tutto il
mondo arabo: la soluzione dell’annoso conflitto israelo-palestinese in primo
luogo; i rapporti tra Stati Uniti e Israele e i condizionamenti che questi
rapporti determinano nelle relazioni tra occidente e mondo arabo.
Il
libro ci racconta la tendenza da parte dei popoli arabi a sviluppare il bisogno
di un «padre carismatico e autoritario, unificatore e onnipresente» [p. 90] ma
anche la propensione alla frammentazione dei vari paesi arabi che tanto ricorda
– seppur per aspetti diversi – quella dei popoli europei. Peccato però che
tutto venga soltanto citato e mai approfondito.
Il
testo comunque potrebbe essere utile a quanti necessitassero di un quadro
generale relativo alla situazione di Egitto, Tunisia e Libia prima delle
rivoluzioni del 2010-2011.
Alessandra
Mangano
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Le guerre di Alessandro Magno
Ruth Sheppard, Le guerre di Alessandro Magno, traduzione di Rossana Macuz
Varrocchi, Gorizia, LEG - Libreria Editrice Goriziana, 2012, 301 pp.
(Biblioteca di arte militare, 26), ISBN 978-88-6102-108-2.
Grandissimi
studiosi di parecchie nazionalità hanno da sempre concentrato la loro
attenzione sulla figura del più celebre condottiero della storia, Alessandro
Magno, producendo ponderosi volumi, talvolta difficilmente leggibili
integralmente, se non da specialisti accademici. Il testo di Ruth Sheppard – storica
formatasi presso il St. John College di Oxford – invece, grazie alla sua verve stilistica, riesce ad affascinare
il lettore e soprattutto a non annoiarlo mai: un risultato non da poco, visto
che la scientificità del libro non ne risente per nulla.
Il volume
si apre con una panoramica della situazione politico-economica in Grecia ed in
Persia nel V e nel IV secolo a. C. e continua con la narrazione dell’ascesa
della Macedonia a potenza egemone nella penisola ellenica, sotto il comando di
Filippo II. Solo dopo questa necessaria premessa (che si estende per 4
capitoli) inizia il racconto delle vicende del giovane Alessandro:
dall’educazione che riceve – per volere del padre – da Aristotele, alla morte
prematura a Babilonia, passando per il momento in cui è acclamato re
dall’esercito, e per quello in cui decide di intraprendere la spedizione nel
continente asiatico per sconfiggere Dario III, re di Persia, convinto che «come
il cielo non contiene due soli, l'Asia non conterrà due re» [ Diodoro
Siculo, Biblioteca Storica, XX, 18 ]. Di
questa campagna, che lo porterà a diventare signore di un vastissimo
territorio, il testo esamina gli schieramenti, le tattiche, i movimenti in
battaglia, con l’aiuto di un ricchissimo apparato di mappe, illustrazioni e
ricostruzioni.
Il
libro si conclude con l’utile Glossario
[pp. 289-293], una poco approfondita Bibliografia
[pp. 295-296] e l’Indice dei nomi
[pp. 297-301]. Pratica, per una consultazione completa e scrupolosa del volume,
è la Cronologia [pp. 8-9], che
riporta gli avvenimenti che vanno dall’apparizione dei primi eserciti di opliti
in Grecia (650 a. C. ca.) alla battaglia di Ipso (301 a. C.).
Vincenzo
Bagnera
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United States Information Service di Trieste. Catalogo del fondo cinematografico 1941-1966
United States Information Service di
Trieste. Catalogo del fondo cinematografico 1941-1966, a cura di Giulia Barbera e Giovanna
Tosatti, Roma, Ministero per i Beni e le Attività culturali - Direzione
generale per gli Archivi, 2007, XII+392 pp. (Pubblicazione degli archivi di
Stato. Strumenti, 175), ISBN 978-88-7125-286-5.
Il volume riporta il catalogo del fondo cinematografico dell'United States Information Service (USIS)
di Trieste, confluito nell'Archivio Centrale dello Stato nel 1987, dopo che il
fondo era stato versato nell'Archivio di Stato del capoluogo giuliano nel 1984.
Il fondo è composto di 506 film.
Il catalogo riporta le schede
fatte per ogni film, nelle quali è possibile trovare tutti i dati inerenti le
pellicole (data, regia, montaggio, fotografia, musica, produttore o ente
committente, durata, bianco/nero o colore, sonoro, lingua, un abstract del
contenuto e l'indicazione di voci per indici o chiavi di ricerca).
Il catalogo ha un buon apparato di
indici che permettono la ricerca dei film per diverse voci (indice dei registi,
degli autori dei soggetti e delle sceneggiature, dei direttori della
fotografia, degli scenografi, degli autori delle colonne sonore, dei montatori,
dei produttori e delle case di produzione, dei nomi e delle cose notevoli).
A corredo de catalogo sono stati
inseriti nel volume alcuni saggi che inquadrano la vicenda storico-politica del
centro USIS di Trieste, l'importanza del patrimonio del fondo cinematografico e
l'uso strumentale della propaganda in Italia da parte degli americani nel
dopoguerra.
Il saggio di Giampaolo Valdevit, Trieste e il Piano Marshall, ripercorre
le vicende della città di Trieste negli anni dell'immediato dopoguerra fino al
1955 e della sorte (spesso sconosciuta) analoga a quella di Berlino, quale
città occupata e divisa.
David W. Ellwood, in Il cinema di propaganda americano e la
controparte italiana: nuovi elementi per una storia visiva del dopoguerra,
e Ansano Giannarelli, in Modelli
statunitensi di produzione audiovisiva, spiegano l'importanza del cinema
nella propaganda americana al servizio del Piano Marshall e sull'uso massivo
del mezzo cinematografico nella diffusione dell'american way of life.
Il saggio di Ugo Cova ripercorre
le vicende storico-istituzionali del fondo cinematografico e la sua importanza
per la conservazione della memoria locale di Trieste e nazionale.
Nell'ultimo saggio di Giovanna
Tosatti, Propaganda e informazione
nell'Italia del secondo dopoguerra: il fondo audiovisivo dell'USIS di Trieste,
si ha un sunto di quanto già scritto nel libro di Anania-Tosatti, L'amico americano.
Piero Canale
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