Sandro Landi, Stampa, censura e opinione pubblica in età
moderna, Bologna, Il Mulino, 2011, 160 pp. (Universale Paperbacks il
Mulino, 609), ISBN 9788815233912.
Il volume s'inserisce nell'ampio dibattito storiografico degli ultimi
anni sulla stampa, la censura e l'opinione pubblica. Sandro Landi propone una
«sintesi problematica» dei fenomeni in questione, ritenuti «costitutivi del
mondo moderno» (p. 7), ripercorrendo una vasta letteratura e dando largo spazio
agli orientamenti della ricerca storica recente.[1]
I tre oggetti del libro - la stampa, la censura e l'opinione pubblica -
mostrano prospettive nuove e intercorrelate, man mano che gli studi di storia
del libro affinano i propri strumenti di analisi e d'interpretazione. I
risultati evidenti sono, infatti, fitte correlazioni tra i tre ambiti di
ricerca.
Il primo capitolo, La rivoluzione della
stampa (pp. 11-25), è dedicato all'invenzione della stampa a caratteri
mobili, che la storiografia tradizionale ha sempre identificato come uno dei
presupposti della modernità e dei progressi sociali e scientifici, e che, alla
luce di nuovi studi, nella lettura di Landi è ridimensionata nel suo presunto «carattere
rivoluzionario» (p. 11). Essa sarebbe, infatti, non tanto l'innovazione tecnica
che rende possibile un «mondo nuovo» (p. 14), bensì una «invenzione che emerge
in un contesto che è di profondo mutamento dello spazio del pensabile e del
possibile» (p. 14).
Il secondo capitolo, Tra continuità
e mutamenti (pp. 27-48), evidenzia l'evoluzione della stampa nel corso del
suo primo cinquantennio di vita, individuandone le «caratteristiche materiali
inconfondibili» (p. 27), che emancipano il libro dal manoscritto, ed altri
aspetti inerenti alla diffusione della stampa e della lettura, come «il
predominio delle lingue volgari sul latino» (p. 27). Gli studi più recenti
hanno messo in luce le caratteristiche strutturali delle grandi stamperie, le
quali ricorrono a «una ripartizione sempre più efficace del processo di composizione
della pagina e dunque la divisione del lavoro determina un incremento delle
capacità produttive che è senza paragone con i secoli precedenti» (p. 29). La
ricognizione di Landi non si limita solo alle stamperie, ma si allarga anche a
tutti quei «mestieri del libro» (p. 28), come i librai e gli ambulanti che li
vendono, gli autori e gli editori. È interessante notare come «le
trasformazioni che interessano il processo produttivo e l'economia del libro
corrispondano a un significativo mutamento del ruolo [...] dell'editore e
dell'autore» (p. 31).
Il libro di Landi si addentra però anche in altri «territori» (p. 49)
della comunicazione, come l'oralità e il manoscritto. La comunicazione in età
moderna è un «sistema in cui scrittura a stampa, manoscritto e oralità
coesistono e interagiscono» (p. 51). L'oralità, che «si manifesta nel lato più
quotidiano dell'attività [umana]» (p. 53), presenta il suo «carattere
prioritario e insostituibile» (p. 53) e apre a nuovi oggetti potenziali di
ricerca e all'affinamento degli strumenti storici per agire sulle fonti orali e
sulle fonti per l'oralità. La pubblicazione manoscritta, invece, mantiene in
tutta l'età moderna, un ruolo importante, seppure sia incontestabile il
predominio progressivo della pubblicazione a stampa.
Il quarto capitolo del volume, Le
logiche della censura (pp. 71-98), è dedicato all'evoluzione della censura
e alle sue conseguenze culturali e sociali. La censura in età moderna non è
limitata alla stampa e alla lettura, ma comprende tutta una serie di «pratiche
istituzionali e culturali che [...] hanno limitato ma, nello stesso tempo,
determinato le condizioni di esistenza pubblica della comunicazione a stampa»
(p. 73). Il capitolo è dedicato ampiamente ai fenomeni della censura preventiva
e della censura repressiva. La censura preventiva è una forma di esame del
manoscritto da parte di «revisori designati da autorità civili o religiose» (p.
77). Spesso essa è il risultato di «soluzioni istituzionali o compromessi di
fatto» (p. 79) tra le autorità ecclesiastiche e la sovranità di principi e
repubbliche in specie di area cattolica. Studi recenti sul fenomeno hanno
evidenziato l'esistenza di un regime speciale di clandestinità, spesso
tacitamente consentita dall'autorità civile. In ogni caso il rapporto tra
censura e cultura è dinamico e complesso e merita di essere studiato e
approfondito.
L'ultimo capitolo del volume, L'opinione
pubblica in età moderna: discorsi, pratiche, rappresentazioni (pp. 99-132),
è dedicato al processo di formazione di un'opinione pubblica in Europa. Un
processo che, non a caso, viene fuori in tutta la sua importanza dopo le
riflessioni che l'autore ha fatto sulla stampa e sulla censura; si parte dal
modello di opinione pubblica teorizzato da Habermas, secondo il quale
l'abolizione della censura preventiva è condizione necessaria per la nascita
dell'opinione pubblica in Europa. In questo processo la stampa svolge un ruolo
essenziale. In paesi come l'Inghilterra, la Germania e la Francia emerge nel
XVIII secolo una «sfera pubblica borghese» (p. 99), la quale - sempre secondo
Habermas - abbandona il suo status di titolarità di razionalità, autonomia e
critica nei confronti dello Stato per cedere alla pubblicità, al conformismo e
alla massificazione. Gli studi recenti hanno messo in luce però come sia
«improprio affermare che l'opinione pubblica [come categoria del discorso
politico] esista solo a partire da questo periodo, perché l'accezione
settecentesca di opinione evoca e condensa un insieme di significati anteriori
e discordanti» (p. 103). La seconda metà
del Settecento è il momento in cui si afferma, prima in Francia e poi nel resto
d'Europa, il «sintagma 'opinione pubblica'» (p. 109). Gli studi recenti
sull'opinione pubblica sono ormai rivolti a «comprendere le condizioni che
hanno reso possibile l'avvento di un 'pubblico' inteso come soggetto razionale
titolare di diritti politici» (p. 109). Non si deve però ridurre all'idea
settecentesca di "opinione pubblica" ogni categoria del discorso
politico, poiché l'esistenza di un pubblico che s'interessa e discute di
politica preesiste alle forme classiche della società borghese e non per forza
coincide con il pubblico dei lettori. L'opinione pubblica è, quindi,
espressione del processo di pubblicizzazione del potere. Proprio le ultime
pagine del libro sono dedicate all'opinione pubblica. Essa è «concepita come il
risultato del libero corso delle divergenze e delle dissidenze, secondo il
modello inglese» (p. 132), ma anche come «il segno arcaico di un loro
superamento e integrazione in un'opinione collettiva, organica e finalmente
unanime» (p. 132). Questa dicotomia è «costitutiva della sfera pubblica
moderna» (p. 132).
Il libro, capace di una ricostruzione tematica ampia e rigorosa, a mio
parere non trae conclusioni, bensì esorta a continuare e approfondire lo studio
sui fenomeni studiati, dopo avere più volte sostenuto come la storiografia sia
orientata su nuove frontiere di ricerca. Il volume è corredato da Riferimenti bibliografici (pp. 135-154)
e da un Indice dei nomi (pp.
157-160).
Piero Canale
[1] Sandro
Landi insegna Storia moderna nell'Università «Michel de Montaigne» di Bordeaux.
È autore di numerosi studi tra cui Il
governo delle opinioni. Censura e formazione del consenso nella Toscana del
Settecento, Bologna, Il Mulino, 2010; Naissance
de l'opinion publique dans l'Italie moderne: sagesse du peuple et savoir de
gouvernement de Machiavel aux Lumières, Rennes, Presses Universitaires de
Rennes, 2006; Note sul consumo di storia
nella Toscana del Settecento, in La
pratica della storia in Toscana. Continuità e mutamenti tra la fine del '400 e
la fine del '700, a cura di E. Fasano-Guarini e F. Angiolini, Milano,
Franco Angeli, 2009, pp. 169-190;
Governare i popoli: la dimensione politica dell'opinione, in Firenze e la Toscana. Genesi e
trasformazioni di uno stato (XIV-XIX secolo), a cura di J. Boutier, S.
Landi e O. Rouchon, Firenze, Mandragora, 2010, pp. 273-288.
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