Giuseppe Schillaci,
L'età definitiva, Bari, LiberAria,
2015, 310 pp., ISBN 88-970-8984-4
Questo romanzo qui - di Giuseppe Schillaci, palermitano di 38 anni che
vive a Parigi dove fa il regista di documentari, già candidato al Premio Strega
2010 con il suo esordio “L'Anno delle ceneri” - questo romanzo qui è un
grandissimo libro.
E non è un grandissimo libro perché è scritto benissimo, strutturato in
brevi capitoli che si leggono tutti d'un fiato, perché ha una trama forte e
costruita alla perfezione, una struttura orchestrata con tecnica magistrale, un
filo unico condotto con una caparbietà e una padronanza di mezzi che rende
possibili anche numerose digressioni e divertissement, monologhi
surreali, aneddoti comici e grotteschi, immagini emblematiche e indimenticabili
episodi estemporanei, scritti peraltro con una scintillante cura e gusto per il
racconto. Non è un grandissimo libro per la sua qualità narrativa, che è di
altissimo livello, un qualcosa di molto efficace e molto contemporaneo, niente
a che vedere con il vecchiume immondo che copre come una patina di muffa gran
parte delle pubblicazioni che riguardano la Sicilia. Non è questo.
L'età definitiva è un grandissimo libro per motivi di
necessità storica, direi “generazionale”. E' un grandissimo libro perché riesce
a trovare una formula per raccontare - chiamiamolo così - il “sottotesto
psicologico” della Sicilia negli ultimi 20 anni. Lo straniamento, il grande
silenzio, l'uscita dalla Storia. Tutto quel garbuglio di dinamiche culturali e
psicosociali che hanno irretito l'Isola dopo i grandi botti di Palermo, le
bombe che hanno spazzato via Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e dopo quel
corollario di bombe a Milano, Firenze e Roma che possiamo paragonare ai botti
finali di un funesto gioco d'artificio. Deflagrazioni assordanti dopo di cui è
seguito nient'altro che - ripetiamolo - un grande silenzio, accompagnato al
limite da un fastidioso fischio nelle orecchie.
Vent'anni se possibile ancora più traumatici dei vent'anni precedenti. E'
il “secondo tempo” della mafia e della storia della Sicilia (e dell'Italia),
come l'ha chiamato Giuseppe Rizzo su Internazionale, un secondo tempo in cui però
quasi non si gioca. I giocatori latitano e rimane soltanto il pubblico, e anche
quello è in procinto di andarsene perché ha trovato altro da fare, altre cose
con cui ottundersi e distrarsi.
Così, se negli anni '70 e '80 in Sicilia - con i morti delle guerre di
mafia, i cadaveri più o meno eccellenti, gli arresti, il maxiprocesso, i
pericoli, le paure, gli orrori, la rabbia e la speranza - se in quel ventennio
lì si percepiva in un modo o nell'altro di “essere nella storia”, di vivere
un'epoca in cui qualcosa poteva cambiare - se in quei vent'anni lì c'era
insomma un passato, un presente e un futuro - adesso si è come avvolti in una
nebbia di eterno presente. Solleticati da mille stimoli, perennemente
ipereccitati e nervosi ma in fondo profondamente immobili, intimamente
desolati. La mafia ha vinto e continua a fare affari? Lo stato ha gettato la
spugna? Che ne sarà della Sicilia? Ricoprirà stabilmente il ruolo di periferia
depressa dell'Europa? Tutte domande di cui abbiamo sempre più paura di
rispondere, raggelati come siamo dal nostro vivacchiamento economico,
emigrazione di massa e scoramento civile.
Ma torniamo al libro. Come ci riesce, l'autore, a narrare tutto questo?
Non con un romanzo storico, niente non fiction o thriller politico o opera
classicamente “impegnata”. Niente di tutto questo. Non ci sono infatti né
personaggi storici né eventi storici, in questo libro, se non sullo sfondo
(come il botto, da lontano, dell'autobomba di Capaci, mentre i protagonisti
giocano a pallone).
L'autore riesce - e non so quanto consapevolmente - a narrare tutto
questo grazie a una storia quasi totalmente intima e privata, ambientata a
Palermo, più esattamente a Brancaccio, nel 2011-2012. Il protagonista è Nico
Chimenti, 33 anni, partito da Palermo dopo il fatidico 1992 quando aveva 14
anni. Uno che ha provato a fare il musicista a Berlino, che non ha avuto
successo e che ora vivacchia lavorando in un bar di Roma. Uno che ha mollato
ambizioni e speranze e che gestisce il deperimento delle sue energie con un'impassibilità
solo apparentemente serena. Aggiorna il suo profilo sul Social Network (Real
Net) e quando è un po' nervoso si rilassa collegandosi sul sito porno (Real
Sex). Nico torna a Palermo per passare il capodanno con sua madre. Troverà un
lavoro presso il centro commerciale “Area Center”, palesemente ispirato al
“Forum Palermo”. Finirà coinvolto in un grottesco assalto di palermitani
assatanati che vogliono accaparrarsi i televisori a prezzi scontatissimi (un
episodio ispirato a fatti realmente accaduti almeno due volte, vedi qui
e qui).
Incontrerà delle persone che hanno fatto parte della sua adolescenza e
rivivrà i furori di quella stessa adolescenza. Chiaro il paragone con lo
squallore dei suoi 33 anni, mentre prima la vita sembrava ancora procedere, non
si era ancora nell'eterno presente, e ogni giorno splendeva di energia, tra la
rock band, le partite di calcio e i primi - importanti e spesso crudeli -
giochi sessuali.
La trama prenderà presto le movenze di un intrigante thriller, con
personaggi che affiorano proprio da quell'adolescenza tanto decisiva: da un
lato gli ex compagni di classe Simona e Salvo, procace e ambigua commessa la
prima, intrallazzatore tutto macchinoni, feste e cocaina il secondo; dall'altro
lato le figure del padre e del fratello gemello di Nico, custodi di
agghiaccianti segreti che finiranno per travolgere il protagonista.
Il tutto in una Palermo di periferia e di borgata, in una Brancaccio area
industriale sonnolenta e pittoresca dove Ferrari “color Ferrari” vengono
parcheggiate vicino alle immancabili macchine bruciate e dove si ride per una
motoape piena di frutta che si impenna e si ribalta una, due, tre volte. Una
città in cui la globalizzazione è arrivata senza tanti clamori, con una
passività e un'irredimibilità tutta siciliana, dove le vecchie logiche di
potere proliferano ugualmente anche con i grandi centri commerciali, i centri
scommesse, i cinema multisala e i ristoranti giapponesi.
Un grandissimo libro, ripetiamolo per l'ultima volta. Significativo e
importante da molti punti di vista - come ho cercato di spiegare - ma anche
fresco e godibile, alcune volte sfacciatamente spassoso. Come si può notare qui
(pag. 98):
Mi ritrovo dentro la Bmw di Salvo verso Mondello, la spiaggia
di Palermo. Arriviamo davanti a una villa liberty sul mare, sul pelo
dell'acqua, coi pilastri che affondano dentro la sabbia. Il Charleston, così si
chiama, è un complesso abusivo d'inizio secolo, più interessante dei complessi
abusivi d'inizio millennio. Al Charleston c'è l'opening day del Trino Club, un'associazione-lista-movimento;
ci sarà gente dello spettacolo, della cultura, russi e americani, baroni,
avvocati e commercialisti, professori, artisti cattolici e scrittori ricchi,
neo-borbonici e neo-democristiani, post-comunisti e post-autonomisti e, forse,
i giocatori del Palermo.
È una giornata calda, a Mondello; una serata in cui hai
l'impressione che l'Africa ti soffi sul collo; Salvo ferma la Bmw in doppia
fila, lascia le chiavi al posteggiatore, che riverisce e intasca la mancia. (…)
Seguo Salvo, che mostra l'invito alla sicurezza e avanza come se il Charleston
fosse suo, la sua villa al mare.
Salvo Pennino sfoggia il suo repertorio di saluti: baciamano
semplice, doppio bacio lento e appassionato, bacio rapido e sguardo altrove,
mano allungata di lato (quasi di nascosto), abbraccio da rugby, stretta di mano
possente, strizzata al sedere o alle guance, baciamano mezzo inchino e
giravolta. (…)
All'improvviso la musica (dozzinale swing anni Cinquanta)
s'abbassa e un uomo parla al microfono: ringrazia tutti, fa molti nomi, cariche
istituzionali, siciliane e di Roma, di Milano, e poi attori, cantanti, i
giocatori del Palermo, anche se nessuno li ha visti.
Avvocati imbellettati e relative accompagnatrici sfilano
davanti all'uomo col microfono, e l'uomo sorride, ringrazia, e parla del futuro
della Sicilia, dell'Italia e dell'Europa, delle amicizie internazionali, degli
accordi già fatti e di quelli da fare. Poi promette una sorpresa finale e
l'euforia spumeggia tra lo folla: chi sarà? Il presidente, il candidato, il
delfino, l'ammiraglio?
Ecco la sorpresa, urla l'uomo-presentatore, a voi, per noi,
per il Trino Club, per la nostra terra nel mondo: Totò Schillaci, l'eroe di
Italia '90!
Nino Fricano