Palermo è stata esclusa dal novero delle candidate italiane a Capitale
Europea della Cultura.
E perché da stupirsi? Perché sentirsi offesi?
Palermo è la città in cui la biblioteca comunale è il massimo esempio di
come non deve essere una biblioteca: la sala di lettura è gelida e buia; i
manoscritti sono impossibili da consultare se non dopo aver pagato l'intero
servizio di foto riproduzione; la consultazione in loco dei libri è sempre
rimandata al giorno dopo perché i libri sono altrove.
Palermo è la città in cui il Teatro Biondo non può permettersi una
compagnia stabile e ogni anno è un terno a lotto l'inizio della stagione.
Palermo è la città in cui l'università è essenzialmente un grande parcheggio,
dove qua e là spunta un alberello e qualche facoltà; dove Lettere è semplicemente
un angolo fumatori in cui si pubblica ogni tanto qualche sciagurato libro (vedi
Franco Lo Piparo, L'enigma del quaderno. La caccia ai manoscritti dopo la morte
di Gramsci, Roma, Donzelli, 2013). Palermo è, inoltre, la città in cui
l'università promuove master di secondo livello e sforna specialisti che
fondamentalmente il mercato del lavoro non assorbe.
Palermo è la città in cui Storia Patria e il Museo del Risorgimento
chiudono nel disinteresse generale delle istituzioni e della comunità.
Palermo è la città in cui si organizzano "le vie dei tesori" e
all'Arsenale Borbonico (Via dell'Arsenale, 140-148, 90142 Palermo), chi vuole
fare una visita guidata deve, invece, sorbire la "televendita" del
libro del volontario (venduto a dieci euro anziché diciotto) e
l'autoincensamento del «quanto l'ho scritto bene questo libro, voi siete gli
ignoranti e io vi aprirò gli occhi».
Palermo è la città in cui i Cantieri Culturali della Zisa sono
principalmente un deserto di capannoni abbandonati all'incuria, dove
vivacchiano nell'alienazione dalla città l'Istituto Gramsci, il Goethe Institut
e qualche altra cosa non meglio definita. Solo il Pride è riuscito ad aprire
alla città i Cantieri, ma il giorno dopo la fine della manifestazione era tutto
come prima.
Palermo è la città in cui la maratona cittadina è disprezzata dagli
automobilisti palermitani incapaci di rinunciare per un giorno alla macchina.
Palermo è la città in cui il senso civico è un miraggio; Palermo è la
capitale del palermitano orgoglioso, cieco e offeso nell'onore per questa
esclusione, «perché qui c'è la cattedrale, il centro storico quattro volte più
grande di quello di Firenze e il mare di Mondello», tralasciando in malafede la
puzza imperante (ecco, Palermo potrebbe essere a buon diritto Capitale mondiale
delle puzze per strada), la sporcizia, il traffico, il caos a ogni ora del
giorno, il centro storico devastato dalla movida e dal business degli alcolici,
la mafia e l'omertà (sì, c'è ancora).
Poi dicono che con la cultura non si mangia. Il problema è che a Palermo
si mangia e basta. Ma forse è più facile valorizzare panelle, crocché e tequila
bum-bum, e non la cultura e la storia e l'arte di questa città. C'è ancora
tanto da scoprire, valorizzare, studiare e far conoscere, come ad esempio gli
archivi dell'Ucciardone (solo per citare un caso).
Il Comune di Palermo, di concerto con la Regione siciliana, avrebbe fatto
meglio a investire quei pochi soldi che ci sono, e che sono stati spesi per la
campagne di immagine e pubblicitaria per la candidatura, per migliorare i
servizi della cultura, iniziando proprio dalla Biblioteca Comunale e cercando
di favorire quella fascia diseredata (e colpevole) di giovani, che hanno tante
belle lauree e qualche idea e potrebbe giovare di un investimento reale sulla
cultura che preveda progetti a lungo termine e non eventi o avvenimenti. Allora
sì che Palermo sarebbe la vera capitale della cultura del Mediterraneo.
Evidentemente per adesso preferisce essere altro.
Piero Canale
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