Il 19 aprile 1869 esce per i tipi dell'editore Libraire Internationale, L'homme qui rit, romanzo di Victor Hugo.
L'opera narra la storia d'un saltimbanco inglese sotto il regno di Anna Stuarda,
conosciuto con il nome di Gwynplaine, orribilmente mutilato che poi, scoperto discendente
d'una grande famiglia inglese, i Clancharlie, ed entrato in possesso dei suoi titoli
e beni, si fa carico del disagio del popolo oppresso con cui ha vissuto. Brutalmente
è questa la trama del libro, sebbene non sia un romanzo a lieto (non vi svelo il
finale, state tranquilli).
Il romanzo, iniziato nel 1866, terminato ufficialmente il 23 agosto 1868,
viene pubblicato l'anno dopo: è l'ultima grande opera di Hugo, scritta durante il
suo esilio nelle isole anglo-normanne nella Manica.
Victor Hugo nacque a Besançon, una città della Francia orientale, il 26 febbraio
del 1802. Era figlio di Léopold-Sigisbert, stipettaio di Nancy, divenuto generale
napoleonico. Non entro nel merito della biografia e della produzione letteraria
di Hugo[1] - non ne avrei le competenze e le forze -
ma mi piaceva condividere con i lettori di Libido
Legendi, alcune pagine di questo romanzo, forse poco conosciuto, o comunque
sovrastato per fama da I Miserabili e
Notre-Dame de Paris.
Il romanzo doveva intitolarsi Per ordine del re (che diventò poi il titolo
della seconda parte del libro), quasi un'analogia - seppur con le ovvie cautele
- con la vita dello scrittore, deputato all'Assemblea Nazionale, che fu esiliato
per le aspre critiche a Napoleone III.
Le pagine che voglio riportare, l'intervento di Gwynplaine alla Camera dei
Lord, sono molto vicine agli interventi di Hugo all'assemblea.[2] C'è la politica, ci sono gli ideali, c'è il
romanzo. Una differenza che per lo scrittore forse viene meno, si sfalda. In occasione
dell'anniversario della pubblicazione del romanzo, propongo un ampio stralcio estrapolato
dal romanzo:
«Milord Fermain Clancharlie, barone Clancharlie
e Hunkerville».
Gwynplaine si alzò:
«Non contento» disse.
Tutte le teste si voltarono.
«Chi siete? Da dove venite?».
Gwynplaine rispose:
«Dal baratro. Chi sono? Sono la miseria.
Milord, devo parlarvi.
Milord, voi siete in alto. Sta bene. Non
si può fare a meno di credere che Dio abbia le sue ragioni per volerlo. Voi avete
il potere, l'opulenza, la gioia, il sole immobile al vostro zenit, l'autorità illimitata,
il godimento esclusivo, l'immenso oblio degli altri. E sia. Ma sotto di voi c'è
qualcosa. E anche sopra, forse. Milord, vengo a portarvi una notizia. Il genere
umano esiste.
Io sono colui che viene dalle profondità.
Milord, voi siete i grandi e i ricchi. È pericoloso. Approfittate della notte. Ma
state in guardia, c'è una grande potenza, l'aurora. L'alba non può essere vinta.
Arriverà. Sta già arrivando. E ha in sé un irresistibile fiotto di luce. E chi impedirà
a questa fionda di scagliare il sole nel cielo? Il sole è il diritto. Voi, invece,
siete il privilegio. Abbiate paura. Il vero padrone di casa sta per bussare alla
porta. Chi è il padre del privilegio? Il caso. E chi è suo figlio? L'abuso. Né il
caso né l'abuso sono solidi. Hanno entrambi un pessimo domani. Io vengo ad avvertirvi.
Vengo a denunciarvi la vostra stessa felicità. È fatta dell'infelicità altrui. Voi
avete tutto, ma il vostro tutto è fatto nel nulla degli altri. Milord, io sono l'avvocato
senza speranza, difendo una causa persa. Questa causa, la vincerà Dio. Io non sono
niente, sono solo una voce. Il genere umano è una bocca e io sono il suo grido.
Voi mi ascolterete. Vengo ad aprire davanti a voi, pari d'Inghilterra, le grandi
assise del popolo, questo sovrano che è vittima, questo condannato che è giudice.
Mi piego sotto il peso di ciò che ho da dire. Da dove iniziare? Non so. Ho raccolto
nella vasta diffusione delle sofferenze, la mia sconfinata arringa sparsa. Che farne?
Mi opprime e io la riverso alla rinfusa qui davanti. Avevo previsto tutto questo?
No. Voi siete stupiti, anch'io. Ieri ero un guitto, oggi sono un lord. Giochi profondi.
Di chi? Dell'ignoto. Tutti dobbiamo tremare. Milord, tutto l'azzurro è dalla vostra
parte. Di quest'immenso universo voi vedete solo la festa; sappiate che c'è anche
l'ombra. Per voi io sono lord Fermain Clancharlie, ma il mio vero nome è un nome
da povero, Gwynplaine. Io sono un miserabile tagliato nella stoffa dei grandi da
un re, il cui capriccio volle così. Ecco la mia storia. Molti di voi hanno conosciuto
mio padre, io non l'ho conosciuto. Egli è prossimo a voi per il suo lato feudale,
mentre io gli sono vicino per il suo lato proscritto. Ciò che Dio ha fatto è un
bene. Sono stato gettato nel baratro. A che scopo? Perché ne vedessi il fondo. Sono
un sommozzatore che riporta a galla una perla, la verità. Parlo perché so. E voi
mi ascolterete, milord. Io ho provato. Ho visto. La sofferenza, no, non è una parola,
signori felici. La povertà? Ci sono cresciuto. L'inverno? Mi ha fatto battere i
denti. La fame? L'ho patita. Il disprezzo? L'ho subito. La peste? L'ho avuta. La
vergogna? L'ho trangugiata. E la rivomiterò davanti a voi e questo vomito d'ogni
miseria vi schizzerà sui piedi e divamperà. Ho esitato prima di lasciarmi condurre
in questo posto in cui sono, perché altrove ho altri doveri. È il mio cuore non
è qui. Ciò che è accaduto dentro di me non vi riguarda; quando l'uomo che voi chiamate
l'usciere della verga nera è venuto a prendermi da parte di colei che chiamate regina,
per un momento ho pensato di rifiutare. Ma mi è sembrato che l'oscura mano di Dio
mi spingesse in questa direzione e ho obbedito. Ho sentito che era necessario che
venissi tra voi. Perché? Per via dei miei stracci di ieri. Era per prendere la parola
tra i sazi che Dio mi aveva messo tra gli affamati. Oh! Abbiate pietà! Oh! Questo
mondo fatale in cui credete di vivere, voi non lo conoscete; siete così in alto
da starne fuori; vi dirò io com'è. Di esperienza ne ho. Arrivo da sotto. Posso dirvi
quanto pesate. Voi, i padroni, sapete cosa siete? Ciò che fate, lo vedete? No. Ah!
Com'è tutto terribile. Una notte, una notte di tempesta, piccolo, abbandonato, orfano,
solo nell'immenso creato, ho fatto il mio ingresso in quell'oscurità che chiamate
società. La prima cosa che ho visto è stata la legge, sotto forma di una forca;
la seconda è stata la ricchezza, la vostra ricchezza, sotto forma di una donna morta
di freddo e di fame; la terza è stata il futuro, sotto forma di una neonata agonizzante;
la quarta è stata il bene, il vero e il giusto, sotto le spoglie di un vagabondo
che aveva per unico compagno ed amico un lupo».
Osservò per un momento quegli uomini che
ridevano.
«Allora voi insultate la miseria. Silenzio,
pari d'Inghilterra! Giudici, ascoltate l'arringa. Oh! Vi scongiuro, abbiate pietà!
Pietà di chi? Pietà di voi stessi. Chi è in pericolo? Voi. Non vedete che siete
su una bilancia e che su un piatto c'è il vostro potere e sull'altro la vostra responsabilità?
Dio vi pesa. Oh! Non ridete. Meditate. L'oscillazione della bilancia divina è il
tremore della coscienza. Voi non siete cattivi. Siete uomini come gli altri, né
migliori, né peggiori. Vi credete dèi, ma se vi ammalaste domani, vedreste la vostra
divinità rabbrividire di febbre. Siamo tutti uguali. Mi rivolgo agli spiriti onesti
e ce ne sono; mi rivolgo alle menti elevate e ce ne sono; io mi rivolgo alle anime
generose e ce ne sono anche tra voi. Voi siete padri, figli e fratelli, dunque spesso
provate tenerezza. Chi tra voi stamattina ha guardato svegliarsi suo figlio è buono.
I cuori sono tutti uguali. L'umanità non è altro che un cuore. Tra chi opprime e
chi è oppresso non c'è differenza a parte il luogo che occupano. I vostri piedi
calpestano teste umane, non è colpa vostra. È colpa della Babele sociale. Costruzione
difettosa, tutta a sbalzi. Un piano opprime l'altro. Ascoltate ciò che vi dico.
Oh! Voi che siete potenti, siate fraterni; voi che siete grandi, siate dolci. Se
sapeste tutto quello che ho visto! Ahimè! Che tormento, giù in basso! Il genere
umano è in prigione. Quanti dannati innocenti! Manca la luce, manca l'aria, manca
la virtù; non c'è speranza; e, cosa temibile, si aspetta. Rendetevi conto di queste
miserie. Ci sono creature che vivono nella morte. Ci sono ragazzine che iniziano
a otto anni con la prostituzione e finiscono a venti con la vecchiaia. La severità
penale, poi, è spaventosa. Parlo un po' a caso, non seguo un ordine. Dico quello
che mi viene in mente. Non più tardi di ieri, io che sono qui, ho visto un uomo
nudo e incatenato, con un mucchio di pietre sul ventre, spirare sotto tortura. Lo
sapete voi? No. Se sapeste quello che accade, nessuno di voi oserebbe essere felice.
Chi di voi è stato a Newcastle-on-Tyne? Ci sono uomini nelle miniere che masticano
carbone per riempirsi lo stomaco e ingannare la fame. Nella contea di Lancaster,
Ribblechester, a forza d'indigenza, da città è diventata un villaggio. Non trovo
che il principe Giorgio di Danimarca abbia bisogno di centomila ghinee in più. Preferirei
far accogliere dall'ospedale l'indigente malato senza fargli pagare in anticipo
la sepoltura. Nel Caërnarvon, a Traith-maur come pure a Strafford, non si può prosciugare
la palude per mancanza di denaro. Le fabbriche tessili sono chiuse in tutto il Lancashire.
Disoccupazione ovunque. Lo sapete voi che i pescatori di aringhe di Harlech mangiano
l'erba quando la pesca va male? Lo sapete che a Burton-Lazers ci sono ancora lebbrosi
braccati, a cui si tirano fucilate se escono dalle loro tane? A Ailesbury, città
di cui uno di voi è lord, la carestia è permanente. A Penckridge nel Coventry, di
cui avete appena beneficato la cattedrale e arricchito il vescovo, non ci sono letti
nelle capanne e si scavano buche nella terra per farci dormire i bambini, che invece
di iniziare dalla culla, iniziano dalla tomba. Io ho visto queste cose. Milord,
le imposte che voi votate, sapete chi le paga? I moribondi. Ahimé! Voi sbagliate.
Siete sulla cattiva strada. Aumentate la povertà del povero per accrescere la ricchezza
del ricco. Bisognerebbe fare il contrario. Come, prendere a chi lavora per dare
allo sfaccendato, prendere al pezzente per dare a chi è sazio, prendere all'indigente
per dare al principe! Oh! Sì, ho un vecchio sangue repubblicano nelle vene. Tutto
questo mi fa orrore. I re, li detesto! E le donne, come sono sfrontate! Mi hanno
raccontato una triste storia. Oh! Odio Carlo II! Una donna che mio padre aveva amato
si è data a questo re, mentre mio padre moriva in esilio, prostituta! Carlo II,
Giacomo II; dopo un buono a nulla, uno scellerato! Cosa c'è in un re? Un uomo, un
essere debole e meschino, schiavo dei bisogni e delle infermità. A cosa serve un
re? Questo sovrano parassita, lo rimpinzate. Questo verme della terra, voi lo trasformate
in un boa. Questa tenia, la trasformate in un drago. Pietà per i poveri! Aggravate
le imposte a profitto del trono. State attenti alle leggi che decretate. State attenti
al formicaio dolente che schiacciate. Abbassate gli occhi. Guardate ai vostri piedi.
O grandi, ci sono anche i piccoli! Abbiate pietà. Sì! Pietà di voi! Perché le moltitudini
agonizzano e chi sta in basso, morendo, fa morire anche chi sta in alto. La morte
è venir meno che non risparmia nessun membro. Quando scende la notte, nessuno conserva
il suo raggio di luce. Siete egoisti? Salvate gli altri. La perdita della nave non
può lasciare indifferente nessun passeggero. Non c'è naufragio degli uni senza inabissamento
degli altri. Oh! Sappiatelo, l'abisso è per tutti.
È allegra questa turba di uomini! Bene.
L'ironia contrapposta all'agonia. Le risate che oltraggiano il rantolo. Sono onnipotenti!
Può darsi. Sia pure. Si vedrà. Ah! Io sono uno di loro. Ma sono anche uno dei vostri,
o poveri! Un re mi ha venduto, un povero mi ha raccolto. Chi mi ha mutilato? Un
principe. Chi mi ha guarito e nutrito? Un morto di fame. Sono lord Clancharlie,
ma rimango Gwynplaine. Sono uno dei grandi ma appartengo ai piccoli. Sono tra quelli
che se la godono e sono con quelli che soffrono. Ah! Questa società è falsa. Un
giorno verrà la società vera. Allora non ci saranno più signori, ci saranno creature
libere. Non ci saranno più padroni, ci saranno padri. Questo è l'avvenire. Niente
più genuflessioni, niente più bassezza, niente più ignoranza, niente più uomini
come bestie da soma niente più cortigiani, niente più servi, niente più re, solo
luce! Nel frattempo, eccomi. Ho un diritto, ne faccio uso. È un diritto? No, se
lo uso per me. Sì, se lo uso per tutti. Parlerò ai lord da lord. O fratelli miei
che state in basso, dirò loro la vostra miseria. Mi alzerò stringendo nel pugno
gli stracci del popolo e scuoterò sui padroni l'indigenza degli schiavi e loro,
i favoriti e gli arroganti, non potranno più sbarazzarsi del ricordo degli sventurati,
e liberarsi, loro che sono principi delle brucianti piaghe dei poveri e tanto peggio
se sono putrescenti e piene di parassiti e tanto meglio se piovono su dei leoni!
Chi è quella gente in ginocchio? Cosa
fate lì? Alzatevi, siete degli uomini.
Io predìco.
Che ci faccio qui? Vengo a essere terribile.
Sono un mostro, voi dite. No, sono il popolo. Sono un'eccezione? No, sono come chiunque.
L'eccezione siete voi. Voi siete la chimera, io sono la realtà. Io sono l'Uomo.
Sono lo spaventoso Uomo che Ride. Ride di cosa? Di voi. Di se stesso. Di tutto.
Cos'è il suo riso? Il vostro delitto e il suo supplizio ve lo sputa in viso. Io
rido, che vuol dire: Io piango.
Questo riso che ho sulla faccia, ce l'ha
messa un re. Questo riso esprime la desolazione universale. Questo riso significa
odio, silenzio forzato, rabbia, disperazione. Questo riso è il frutto delle torture.
Questo riso è un riso coatto. Se Satana ridesse in questo modo, il suo riso condannerebbe
Dio. Ma l'eterno non somiglia ai mortali; essendo l'assoluto è giusto; e Dio odia
ciò che fanno i re. Ah! Voi mi prendete per un'eccezione! Io sono un simbolo. O
stupidi onnipotenti, aprite gli occhi. Io incarno tutto. Io rappresento l'umanità
così come l'hanno fatta i suoi padroni. L'uomo è mutilato. Quello che hanno fatto
a me, l'hanno fatto al genere umano. Gli hanno deformato il diritto, la giustizia,
la verità, la ragione, l'intelligenza, come a me gli occhi, le narici e le orecchie;
come a me, gli hanno messo nelle cuore una cloaca di collera e di dolore, e sulla
faccia una maschera di allegria. Dove si era posato il dito di Dio, s'è appoggiato
l'artiglio del re. Mostruosa sovrapposizione. Vescovi, pari e principi, il popolo
è qualcuno che soffre intimamente e ride in superficie. Milord, vi dico che il popolo
sono io. Oggi, voi lo opprimete, oggi voi mi schermite. Ma l'avvenire è un cupo
disgelo. Ciò che era pietra diventa flutto. L'apparente solidità si tramuta in sommersione.
Uno scricchiolio ed è finita. Verrà un momento in cui una convulsione spezzerà la
vostra soppressione, in cui un ruggito risponderà ai vostri schiamazzi. Quel momento
è già venuto - e tu c'eri, padre mio! -, quel momento divino è venuto e si chiamava
Repubblica, l'hanno cacciato, ma tornerà. Nell'attesa, ricordatevi che la serie
dei re armati di spada è stata interrotta da Cromwell armato di scure. Tremate.
Si avvicinano soluzioni incorruttibili, le unghie tagliate ricrescono, le lingue
strappate prendono il volo e diventano lingue di fuoco sparse al vento nelle tenebre
e urlano nell'infinito; gli affamati mostrano i loro denti inattivi, i paradisi
costruiti sugli inferni vacillano, si soffre, si soffre, e ciò che è in alto tentenna
e ciò che è in basso si schiude, l'ombra vuole diventare luce, il dannato mette
in discussione l'eletto, è il popolo che viene vi dico, è l'uomo che sale, è l'inizio
della fine, è la rossa aurora della catastrofe, ecco che c'è in questo riso che
vi fa ridere! Londra è una festa perpetua. E va bene. L'Inghilterra è da un capo
all'altro un'acclamazione. Sì. Ma ascoltate: Tutto ciò che vedete sono io. Le vostre
feste sono il mio riso. I vostri pubblici divertimenti sono il mio. I vostri matrimoni,
sagre e incoronazioni sono il mio riso. Le vostre nascite principesche sono il mio
riso. Il tuono che avete sopra la testa è il mio riso». [Victor Hugo, L'uomo che ride,
prefazione di Jean Gaudon, traduzione di Donata Feroldi, con un saggio di Robert
Louis Stevenson, Milano, Mondadori, 1999, pp. 630-42].
[1] Rimando alla scheda Treccani http://www.treccani.it/enciclopedia/victor-marie-hugo/
(ultimo accesso: 19/04/2014).
[2] Victor Hugo,
Discours à l'Assemblée nationale (1848-1871),
http://www.assemblee-nationale.fr/histoire/victor_hugo/discours.asp
(ultimo accesso: 19/04/2014).
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