Visualizzazioni totali

mercoledì 20 marzo 2013

La storia della mafia



Leonardo Sciascia, La storia della mafia, Palermo, Barion, 2013, 67 pp. (Pugni), ISBN 978-88-6759-001-8.

«La mafia è un’associazione per delinquere, con fini di illecito arricchimento per i propri associati, che si pone come intermediazione parassitaria, e imposta con mezzi di violenza, tra la proprietà e il lavoro, tra la produzione e il consumo, tra il cittadino e lo Stato.» (p. 25): questa è la definizione della mafia a cui arriva Sciascia all’interno di questo breve ma intenso volumetto, che in sole 37 pagine, si pone l’arduo obiettivo di ricostruire passo passo i momenti che hanno portato la mafia ad essere l’atroce piaga che ancora oggi non vuole – o non può? – scomparire da questa splendida isola.
La trattazione prende spunto dall’analisi etimologica del termine, che si fa derivare, seguendo la lezione del Traina, da maffia, ossia miseria, parola importata da funzionari piemontesi venuti in Sicilia dopo l’unità d’Italia. Del Traina e soprattutto del Pitrè Sciascia rifiuta e contesta la concezione del fenomeno mafioso, secondo cui «la mafia non è setta né associazione, non ha regolamenti né statuti» (p. 8), ma è anzi «ipertofia dell’io, dell’io dei singoli siciliani» (p. 10).
Lo studio continua facendo risalire l’invenzione della mafia come associazione a delinquere a Giuseppe Rizzotto, che nel 1862 compose la commedia I mafiusi di la Vicaria: momento cruciale per la lotta contro la criminalità, secondo Sciascia, visto che il cambio di prospettiva attivò una serie di studi e indagini che misero in evidenza il fenomeno mafioso; l’autore è convinto che la mafia sia uno dei più grandi mali sociali e in quanto tale non può essere minimizzato, se c’è la volontà di liberarsene.
Nel testo non mancano i riferimenti letterari: notevole è quello a I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Per spiegare cosa fosse la mafia in origine, Sciascia prende ad esempio il fenomeno della «braveria»: «sgherri del tipo dei bravi,» dice «al servizio degli interessi e dei capricci dei nobili, in Sicilia furono i prototipi dei mafiosi» (p. 25). Mentre in Lombardia, una volta finito il dominio spagnolo, la “braveria” fu eliminata grazie all’energica attività dei funzionari austriaci, in Sicilia essa perdurò fino a diventare quella che vediamo ancora oggi.
Sciascia successivamente riflette sul tema del trasferimento, come arma più forte del potere mafioso: «in Sicilia un funzionario che si mostrasse sagace e onesto, resistente alla corruzione o alla pressione dei potenti, veniva isolato o espulso come corpo estraneo» (p. 27). Ne deriva che la storia della mafia non è altro che «storia della complicità dello Stato […] nella formazione e affermazione di una classe di potere improduttiva, parassitaria» (p. 28).
Il saggio si conclude con un breve accenno al rapporto tra mafia italiana e americana, emblema dell’inefficienza dello Stato di fronte alla potenza criminale.
Il libro consta di tre parti: la prima, di cui si è discusso sopra, reca il titolo che è anche dell’intero volume; la seconda, intitolata Io, Nanà e i don, scritta da Giancarlo Macaluso, è il racconto del rapporto di Sciascia col fenomeno mafioso, esposta da uno dei suoi più cari amici, Stefano Vilardo. Questi ci racconta quanto Nanà – così confidenzialmente gli amici chiamavano Sciascia – fosse stato un attento spettatore e un narratore lucido delle dinamiche che regolano i rapporti mafiosi, partendo dagli esempi concreti che osservava nella sua Caltanissetta: «Sciascia mi diceva che quando la mafia si imborghesisce […] poi sforna avvocati, medici, imprenditori, professionisti. Insomma, quelli che si chiamano colletti bianchi. Cambia la forma del mafioso, ma la sostanza resta sempre quella» (p. 49).
Il libro si conclude, e questa è la terza parte, con la Postfazione di Salvatore Ferlita, in cui è narrato il fitto scambio epistolare tra Sciascia e Italo Calvino.

Vincenzo Bagnera


http://95.110.225.117:8080/mursia/components/com_virtuemart/shop_image/product/La_storia_della__51274dbf804c1.jpg

Nessun commento:

Posta un commento