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lunedì 24 dicembre 2012

Buone feste da LIBRidO!



Care socie e cari soci, care amiche e cari amici,
come molti di Voi sapranno l’associazione LIBRidO si è costituita il 27 luglio del 2012 e da quel momento lavora costantemente alla realizzazione di vari progetti legati al mondo delle biblioteche e degli archivi. Dopo una prima fase legata all’espletamento delle innumerevoli e spesso farraginose pratiche burocratiche, abbiamo finalmente la possibilità di dedicarci alla progettazione e all’attuazione di una serie di iniziative di rilevante interesse culturale.
Tra queste ci fa piacere condividere con voi quelle che, a nostro avviso, sono maggiormente meritevoli della vostra attenzione: l’istituzione di una biblioteca di quartiere, nell’ambito della campagna Dona un libro per liberare la cultura, e la creazione di uno spazio multimediale di condivisione per la valorizzazione del libro e la promozione della lettura.  
Il primo progetto nasce dalla consapevolezza che, oggi più che mai, una biblioteca di quartiere - intesa come spazio multiculturale e intergenerazionale - sia condizione imprescindibile per la crescita e la valorizzazione sociale e intellettuale, non solo del singolo cittadino, ma, più in generale della collettività. La condivisione di uno spazio comune - all’interno del quale sia possibile, non solo accostarsi allo studio, all’approfondimento e alla lettura, ma anche crescere gomito a gomito con persone altre - diventa percorso obbligato per il diffondersi di una vera cultura della legalità. Pertanto abbiamo attivato un’interlocuzione con il Comune di Palermo per l’assegnazione di uno spazio in cui far nascere questa realtà: abbiamo quindi deciso di lanciare il 30 ottobre u.s. la campagna Dona un libro per liberare la cultura, in modo da raccogliere il maggior numero possibile di donazioni (materiale audiovisivo, saggi, monografie, enciclopedie, riviste, etc.). Il nostro obiettivo è duplice: in primo luogo restituire vita a tanti libri, che altrimenti morirebbero in qualche scaffale polveroso, o, ancora peggio, in cantina in uno scatolone; quindi dare la possibilità a chi per varie ragioni non può avere accesso diretto alla fruizione di questo materiale, di poterlo consultare sia in loco, che comodamente a casa.
Il 5 dicembre u.s. è andato online Libido Legendi - uno spazio multimediale dedicato a tutti coloro che condividono con noi il piacere della lettura e l'amore per i libri - in cui ogni mese verranno pubblicate le dieci migliori recensioni pervenuteci. Con l'occasione ne approfittiamo per invitarvi a collaborare con la nostra iniziativa. Qualora vi faccia piacere potete visitare il nostro blog all'indirizzo http://libidolegendi-librido.blogspot.it/, dove potete consultare anche il regolamento per partecipare.
Partiranno dal 2013 due nuovi progetti: Salviamo l'odiato dizionario di latino! e Servizio di ricerca bibliografica online.
Il primo consiste in un servizio di recupero dei dizionari, che gli anni di liceo hanno consumato, e di realizzazione di piccoli interventi di legatoria e manutenzione per tutti quei libri che hanno subito danni meccanici (copertine divelte, dorsi e/o fascicoli staccati); esso è rivolto a tutti coloro che ne vorranno fare richiesta.
Il secondo progetto, invece, riguarda l'offerta di un servizio di ricerca bibliografica per tramite dei cataloghi online, rivolto agli studenti e a tutte le persone che hanno necessità di reperire informazioni catalografiche su uno o più testi.
Per l'anno prossimo ci auguriamo un 2013 pieno di attività e di iniziative che possano dare vigore al risveglio culturale della nostra regione e della nostra generazione. Saremmo lieti se la nostra sfida fosse incoraggiata e supportata da Voi, con la vostra collaborazione e amicizia. Saremo felici inoltre di rendervi partecipi di ogni nostra attività.
Cogliamo l'occasione per augurarvi buon Natale e felice anno nuovo, nella speranza che queste festività portino a tutti serenità, e che il 2013 si riveli migliore di questo che sta per concludersi. Vogliamo terminare questa nostra con una frase di Mallarmé, più che mai attuale:
«Il mondo è fatto per finire... in un bel libro».

Palermo, lì 24/12/2012

Il Presidente
Vincenzo Bagnera


sabato 1 dicembre 2012

Igiene dell'assassino



Amélie Nothomb, Igiene dell’assassino, Parma, Guanda Editore, 2012, 175 pp., ISBN 978-88-8246-366-3.

«Non senza legittimo orgoglio il signor Tach si seppe colpito dalla temibile sindrome di Elzenveiverplatz, chiamata più volgarmente ‘cancro delle cartilagini’, che lo studioso eponimo aveva scoperto nel XIX secolo alla Cayenna in una dozzina di ergastolani reclusi per violenza sessuale con annesso omicidio, e che da allora non si era più ripresentata».
Uscito nel 1992, è questo il primo romanzo della Nothomb; la sua fortuna ruota intorno alla grande – in tutti i sensi!- figura dello scrittore Prétextat Tach, premio Nobel, più che per la letteratura, per la misantropia e la misoginia. L’ottuagenario Maestro è un eremitico, presuntuoso, paralitico, vorace e calvo grumo di lardo, benedetto da una rarissima malattia che promette di coronare di morte gloriosa una lunga e lusinghiera carriera di autore. Stampato e distribuito per tutto il mondo, riverito e lodato da tutti gli intellettuali, Prétextat è letto da nessuno e, forte di questo vanto, decide di gratificarsi con un ultimo regalo. Come un grasso ragno, apre il suo appartamento a degli sprovveduti giornalisti, che si lanciano nella sua ragnatela, per finire fagocitati dal pantagruelico Ego dello scrittore. Qualsiasi approccio, qualsiasi tattica improvvisata o pianificata a tavolino dagli intervistatori è resa vana da Prétextat: con i suoi sofismi blandisce, adula, insulta, confonde, sfinisce e mette in fuga con ferocia anche i più brillanti fra i giornalisti, incapaci di sostenere il pressing dialettico del Maestro. L’ultimo intervistatore è però una donna, Nina, una «piccola rompiscatole insolente». Decisa a condurre il gioco, altera e inflessibile al contempo, Nina è Femmina e dunque, nella sottesa logica northombiana, letale. Si percepisce come il romanzo, perlopiù composto da dialoghi, nell’ultimo capitolo cambi ritmo, quando le discussioni surreali ed esasperate/esasperanti ammannite dallo scrittore vengono soppiantate da quelle rigorose dalla giornalista. Come in un giallo di Ellery Queen, alla fine della storia tutti gli ingarbugliati indizi sparsi per il romanzo vengono raccolti, e i fili dell’oscuro passato riannodati ad intrappolare il grasso ragno, vittima felice della propria ragnatela. Il romanzo è condotto con mano leggera, che permette di sorvolare su qualche sofisma di troppo; ma la Nothomb, penna e personaggio peculiare che si ama o si odia all’istante, merita letteralmente chapeau!

Eloisia Tiziana Sparacino

Racconti siciliani



Danilo Dolci, Racconti siciliani, Palermo, Sellerio editore, 2008, 417 pp., ISBN 88-389-2307-8.

Danilo Dolci scrive la Sicilia. Non nel senso che la interpreta restituendocene l’immagine attraverso il filtro dei suoi occhi o della sua interpretazione personale. No. È come se lui la facesse parlare senza intermediari, così, in forma diretta con tutte le sue disperazioni, con la povertà e la fame; con quelle strade «miserabili e putride» descritte da Carlo Levi ne Le parole sono pietre. La Sicilia che Dolci ci racconta non può essere abbellita, nemmeno dal punto di vista linguistico; le voci dei protagonisti vengono fedelmente registrate così come sono, senza intenti estetizzanti. L’esito non è scontato perché Dolci è siciliano solo d’adozione, è un settentrionale che per vivere e raccontare la Sicilia, si fa – come dice, in più occasioni, lo storico Francesco Renda – meridionale tra i meridionali, siciliano tra i siciliani. 
I suoi personaggi sono braccianti, casalinghe, falegnami, ma anche madri senza latte e bambini denutriti. Gente comune che vive di espedienti, che cerca nella terra una disperata sopravvivenza, quella terra che regala l’erba da mangiare a Vincenzo, quando manca il lavoro e non ci sono soldi per comprare altro. Questa Sicilia dei racconti di Dolci è un universo ricco di simboli: un mondo parallelo dove ogni spiegazione alle grandi domande della vita è mutuata dai campi. Le stelle sono come le vacche che «quando aggiorna si ritirano sempre» [p.23] e la luna è fatta di cielo e «il cielo di fumo che si fa in terra e è salito» [ibi]. Volendo farne un’analisi scientifica, il tema è quello annoso della contrapposizione tra la cultura prodotta dalle classi popolari e la cultura imposta alle classi popolari e della tradizionale questione: se e come sia possibile rintracciare una forma di circolazione tra i due livelli. Nel dibattito tra storici e antropologi, tutt’oggi attuale, si inserisce il dualismo tra oralità e scrittura che ci riporta inevitabilmente agli studi condotti da Mandrou e da Bolème, alla creatività popolare, ma anche a Rabelais, a Bacthin e al carnevale. In tal senso i protagonisti dei racconti siciliani di Dolci, richiamano inevitabilmente alla mente anche Menocchio: il mugnaio friulano descritto da Ginzbourg ne Il formaggio e i vermi per il quale il caos è identificabile con una massa simile al formaggio dentro cui nascono gli angeli e Dio - per volontà della Santissima Maestà - proprio come dal prodotto gastronomico nascono i vermi.
Il mondo parallelo cerca una definizione di sé alternativa, quando non addirittura in aperta contrapposizione, a quello ufficiale. È il caso di Vincenzo, condannato a 4 anni e 20 giorni di reclusione per aver rubato due mazzi d’erba. Perché la Sicilia degli anni ‘50 è quella della riforma agraria e dei decreti Gullo, del separatismo, dell’occupazione delle terre e degli omicidi dei sindacalisti più rappresentativi di quelle lotte contadine: Accursio Miraglia, Placido Rizzotto, Salvatore Carnevale, solo per citarne alcuni. Eppure da questo mondo, pur condividendone le istanze e le rivendicazioni, Dolci si discosta, scegliendo una via diversa alla seppur necessaria rivoluzione: gli scioperi della fame (digiuni individuali o collettivi) come arma nonviolenta, perché – come il titolo di un’altra sua opera fondamentale – bisogna Fare presto (e bene) perché si muore; o, ancora, lo sciopero alla rovescia causa di carcerazione e processo, ma anche di sostegno e  solidarietà da parte di intellettuali del calibro di Erich Fromm, Betrand Russell e Jean-Paul Sartre. Avversato dalla Chiesa del Cardinale Ruffini, tacciato come eccentrico dalla sinistra tradizionale, la sua “eresia” diventa prassi sociale e il suo dare voce alla gente non prevede un ammaestramento, o peggio, un tentativo, seppur minimo di acculturazione, ma solo una profonda empatia che l’autore – sollecitato nella stesura di questa raccolta da Italo Calvino – mostra con il profondo legame che nella sua vita hanno il pensare e l’agire. Secondo Dolci, infatti, per conoscere i poveri e dar loro una voce bisogna vivere come loro. È in quest’ottica che l’autore ha scritto Racconti siciliani ed è in quest’ottica che il lettore deve accogliere il libro, documento preziosissimo di un passato più che mai attuale. In un’epoca complessa e turbinosa, in cui le politiche di austerity, mascherate da imprescindibile necessità, aumentano il divario tra ricchi e poveri, creando nuove sacche di marginalità e di stenti, una rilettura di Dolci appare imprescindibile per comprendere la simbologia del disagio, della ghettizzazione e della paura. 

Alessandra Mangano

Il libro dell'inquietudine



Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares, prefazione di Antonio Tabucchi, Milano, Feltrinelli, 2000, 277 pp., ill. (Universale Economica Feltrinelli), ISBN 978-88-07-81626-0.

Il libro dell'inquietudine è il diario di Bernardo Soares, un contabile della Lisbona degli anni Trenta. L'autore del diario, che altro non è che un eteronimo di Fernando Pessoa, trascorre il suo tempo tra lo sterile lavoro, il sogno e la scrittura quasi maniacale delle pagine asfittiche, ostiche, soffocanti che compongono questo romanzo.
Bernardo Soares non è un sognatore, quale l'idea romantica potrebbe suggerire. Infatti, il sogno di cui parla il contabile è l'unica esperienza reale di vita che gli sia permessa. Per Soares la vita è una complessa, e a volte insensata, oscillazione tra l'inazione e la mancanza di consapevolezza. Solo il sogno dà la vera prova dell'esistenza: «omnia fui, nihil expedit».
Il diario si contorce, come viscere in preda a degli spasmi. Tra le pagine di pioggia e le pagine del caldo umido e asfissiante si insinuano profondamente le riflessioni sull'esistenza e sull'umanità, le massime sulla religione e sul secolo. Quella di Soares è una filosofia pratica, che si fa forte dell'esperienza non vissuta.
Soares (o Pessoa?) scioglie momento per momento la sua esistenza - il diario risale agli ultimi anni di vita dello scrittore - la analizza con lo stesso metodo con cui si osserva la vita intorno, alla quale sembrerebbe totale il disinteresse, ma che tuttavia l'autore descrive con incredibile partecipazione interiore: ogni cosa investe in pieno i sensi di Soares. Ogni suono ogni colore, ogni odore: «nulla è fuori di lui...», verrebbe da dire...
La costante di questo libro è la peregrinazione angosciosa, tra la meditazione, i sogni e il tedio.
Difficile è però ripercorrere le pagine di questo libro, cercando di seguire una sua logica interna. Non credo si possa fare una recensione, ovvero una descrizione puntuale di questo diario.
Le pagine sono libere e libera ne è l'accoglienza che ciascuno può farne nel proprio animo, nella propria testa. Questo libro ha troppe facce: l'autore ne ha disegnate troppe; il lettore troppe ne può scorgere, accogliere o decidere di ignorare.
E nello stesso tempo questo libro può essere una condanna o una salvezza.
Salvezza... per chi il pericolo lo ha già scampato. Questo libro è dunque un conforto, una speranza: «ho evitato di fare la sua fine, non vivo più come Soares, prima vivevo così». Il libro dell'inquietudine è allora il più grande invito alla vita, a lasciare Rua dos Douradores, ad affrontare con occhi diversi il mondo intorno.
Non basta il sogno: diventa necessario l'Amore. E in questo libro manca l'Amore. E allora per chi vive senza Amore, questo libro è un'atroce condanna. Bernardo Soares non sa cosa è l'Amore. É lontano dall'Amore. E chi vive senza Amore è condannato a essere Bernardo Soares, a vivere chiuso in un'umida e insalubre stanza, a dormire senza posa e senza ristoro in un letto sempre sfatto.
Il libro non dà soluzioni. Non mostra vie da seguire. Non scioglie le contraddizioni.
Al lettore la voglia, la forza di continuare la lettura.
Consigliarlo? Una responsabilità troppo grande.

Piero Canale

Stranalandia



Stefano Benni, Stranalandia, disegni di Pirro Cuniberti, Milano, Feltrinelli, 2009, 109 pp., ISBN 978-88-07-81079-4.

Esiste davvero, in mezzo all’Oceano Atlantico, l’isola di Stranalandia «dove tutto è così strano che più niente sembra strano»? (quarta di copertina). 
Questa diciannovesima edizione di una pubblicazione del 1984 di Stefano Benni, che potrebbe apparire un libro per soli bambini, risulta invece una gradevole lettura per tutte le età.
Stranalandia è un’isola; un’isola dove tutto appartiene a una fantasia operata con sapienza dalla natura, rappresentata da bizzarre creature zoologiche, botaniche, ecc. In quest’opera si ritrovano fantastiche descrizioni di animali quali la Bancaruga, il Cervo Pomellato o il Topo Cagone, tutti residenti in quest’isola misteriosa dove, agli inizi del ‘900 a causa di un naufragio, due professori-scienziati dell’università di Edimburgo riescono a sopravvivere per tre anni: durante tale periodo i due riescono a raccogliere una grande quantità di dati, disegni e osservazioni. Misteriosamente è stato rinvenuto il secondo volume del loro diario, originariamente composto da tre libri, dove si leggono narrazioni inverosimili: tutto ciò «è un’invenzione fantastica o la testimonianza reale del più incredibile prodigio naturale mai scoperto»? (quarta di copertina). Ai lettori la risposta.
Un tuffo in una natura fantastica dove alla fine di questo meraviglioso viaggio si avverte la voglia di ideare e creare un nuovo stravagante personaggio e collocarlo tra le spiagge e le foreste di Stranalandia.
Un libro divertente attraverso il quale Stefano Benni, con trovate assolutamente geniali, si conferma nuovamente autore creativo e di grande livello; presenti anche 6 tavole a colori e 64 disegni in bianco e nero di Pirro Cuniberti che rendono perfettamente le descrizioni degli animali. 

Biagio Bertino

Antropologia in sette parole chiave



Vincenzo Matera, Antropologia in sette parole chiave, Palermo, Sellerio, 2006, 177 pp., ISBN 88-389-2124-5.

Cos’è questa scienza misteriosa che da sempre ha portato l’uomo a studiare sè stesso sotto molteplici punti di vista? Quali sono i suoi punti cardine? Quali sono i principi che ne regolano il funzionamento?
L’autore, Vincenzo Matera, docente di Antropologia culturale nella Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Milano-Bicocca, raccoglie in questo volume una serie di saggi che danno la sua particolare visione su questa scienza; ogni saggio fa capo ad un termine di assoluta importanza, una parola chiave, nella complessa ed eterogenea composizione della materia antropologica: sette parole, sette saggi. Anzi, sette più uno: “Antropologia”.
Incompletezza: dopo aver analizzato velocemente alcune delle specie umane (Australopitecus, Erectus, Sapiens) mette in luce che deve essere la prospettiva che adotterà per comprendere tutte le varie sfaccettature psicologiche sociali e antropologiche dell’essere umano, ossia quella che riconosce l’uomo “come un animale difettoso dal punto di vista strettamente biologico”, e proprio per questo, che tende a svincolarsi dalla propria dimensione organica.
Cultura: intesa come caratteristica quasi obbligatoria dell’essere umano, che, a differenza degli altri animali, non è geneticamente programmato dalla nascita alla sopravvivenza, ma anzi sente l’esigenza di una cultura come elemento indispensabile per la salvaguardia della propria specie.
Comunicazione: ossia la capacità dell’essere umano di mettere in circolo, di far divulgare nella società, di aprire al sociale quella cultura, rimedio alla sua incapacità, alla sua «difettosità originaria».
Identità: concetto ampio e articolato, su cui verte da anni gran parte del dibattito antropologico, che coincide con la cristallizzazione, ambigua e temporanea, di punti di riferimento, di stereotipi, per l’azione e per l’interazione, e che è strettamente correlato con la nozione di diversità.
Campo, Intenzionalità, Interazione: sono tre termini che afferiscono alla sfera della ricerca scientifica dell’antropologo, che impone una “particolare prospettiva conoscitiva”, e che porta a una serie di problematiche critiche, una fra tutte quella che Matera chiama il «più altro degli altri».
Il testo è corredato di un’ampia Bibliografia (pp.157-173) e di un Indice dei nomi (pp.175-177) utilissimo per chi volesse o dovesse approfondire la sua ricerca.

Vincenzo Bagnera