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martedì 2 giugno 2015

Stampa, censura e opinione pubblica in età moderna

Sandro Landi, Stampa, censura e opinione pubblica in età moderna, Bologna, Il Mulino, 2011, 160 pp. (Universale Paperbacks il Mulino, 609), ISBN 9788815233912.

Il volume s'inserisce nell'ampio dibattito storiografico degli ultimi anni sulla stampa, la censura e l'opinione pubblica. Sandro Landi propone una «sintesi problematica» dei fenomeni in questione, ritenuti «costitutivi del mondo moderno» (p. 7), ripercorrendo una vasta letteratura e dando largo spazio agli orientamenti della ricerca storica recente.[1]
I tre oggetti del libro - la stampa, la censura e l'opinione pubblica - mostrano prospettive nuove e intercorrelate, man mano che gli studi di storia del libro affinano i propri strumenti di analisi e d'interpretazione. I risultati evidenti sono, infatti, fitte correlazioni tra i tre ambiti di ricerca.
Il primo capitolo, La rivoluzione della stampa (pp. 11-25), è dedicato all'invenzione della stampa a caratteri mobili, che la storiografia tradizionale ha sempre identificato come uno dei presupposti della modernità e dei progressi sociali e scientifici, e che, alla luce di nuovi studi, nella lettura di Landi è ridimensionata nel suo presunto «carattere rivoluzionario» (p. 11). Essa sarebbe, infatti, non tanto l'innovazione tecnica che rende possibile un «mondo nuovo» (p. 14), bensì una «invenzione che emerge in un contesto che è di profondo mutamento dello spazio del pensabile e del possibile» (p. 14).
Il secondo capitolo, Tra continuità e mutamenti (pp. 27-48), evidenzia l'evoluzione della stampa nel corso del suo primo cinquantennio di vita, individuandone le «caratteristiche materiali inconfondibili» (p. 27), che emancipano il libro dal manoscritto, ed altri aspetti inerenti alla diffusione della stampa e della lettura, come «il predominio delle lingue volgari sul latino» (p. 27). Gli studi più recenti hanno messo in luce le caratteristiche strutturali delle grandi stamperie, le quali ricorrono a «una ripartizione sempre più efficace del processo di composizione della pagina e dunque la divisione del lavoro determina un incremento delle capacità produttive che è senza paragone con i secoli precedenti» (p. 29). La ricognizione di Landi non si limita solo alle stamperie, ma si allarga anche a tutti quei «mestieri del libro» (p. 28), come i librai e gli ambulanti che li vendono, gli autori e gli editori. È interessante notare come «le trasformazioni che interessano il processo produttivo e l'economia del libro corrispondano a un significativo mutamento del ruolo [...] dell'editore e dell'autore» (p. 31).
Il libro di Landi si addentra però anche in altri «territori» (p. 49) della comunicazione, come l'oralità e il manoscritto. La comunicazione in età moderna è un «sistema in cui scrittura a stampa, manoscritto e oralità coesistono e interagiscono» (p. 51). L'oralità, che «si manifesta nel lato più quotidiano dell'attività [umana]» (p. 53), presenta il suo «carattere prioritario e insostituibile» (p. 53) e apre a nuovi oggetti potenziali di ricerca e all'affinamento degli strumenti storici per agire sulle fonti orali e sulle fonti per l'oralità. La pubblicazione manoscritta, invece, mantiene in tutta l'età moderna, un ruolo importante, seppure sia incontestabile il predominio progressivo della pubblicazione a stampa.
Il quarto capitolo del volume, Le logiche della censura (pp. 71-98), è dedicato all'evoluzione della censura e alle sue conseguenze culturali e sociali. La censura in età moderna non è limitata alla stampa e alla lettura, ma comprende tutta una serie di «pratiche istituzionali e culturali che [...] hanno limitato ma, nello stesso tempo, determinato le condizioni di esistenza pubblica della comunicazione a stampa» (p. 73). Il capitolo è dedicato ampiamente ai fenomeni della censura preventiva e della censura repressiva. La censura preventiva è una forma di esame del manoscritto da parte di «revisori designati da autorità civili o religiose» (p. 77). Spesso essa è il risultato di «soluzioni istituzionali o compromessi di fatto» (p. 79) tra le autorità ecclesiastiche e la sovranità di principi e repubbliche in specie di area cattolica. Studi recenti sul fenomeno hanno evidenziato l'esistenza di un regime speciale di clandestinità, spesso tacitamente consentita dall'autorità civile. In ogni caso il rapporto tra censura e cultura è dinamico e complesso e merita di essere studiato e approfondito.
L'ultimo capitolo del volume, L'opinione pubblica in età moderna: discorsi, pratiche, rappresentazioni (pp. 99-132), è dedicato al processo di formazione di un'opinione pubblica in Europa. Un processo che, non a caso, viene fuori in tutta la sua importanza dopo le riflessioni che l'autore ha fatto sulla stampa e sulla censura; si parte dal modello di opinione pubblica teorizzato da Habermas, secondo il quale l'abolizione della censura preventiva è condizione necessaria per la nascita dell'opinione pubblica in Europa. In questo processo la stampa svolge un ruolo essenziale. In paesi come l'Inghilterra, la Germania e la Francia emerge nel XVIII secolo una «sfera pubblica borghese» (p. 99), la quale - sempre secondo Habermas - abbandona il suo status di titolarità di razionalità, autonomia e critica nei confronti dello Stato per cedere alla pubblicità, al conformismo e alla massificazione. Gli studi recenti hanno messo in luce però come sia «improprio affermare che l'opinione pubblica [come categoria del discorso politico] esista solo a partire da questo periodo, perché l'accezione settecentesca di opinione evoca e condensa un insieme di significati anteriori e discordanti» (p. 103).  La seconda metà del Settecento è il momento in cui si afferma, prima in Francia e poi nel resto d'Europa, il «sintagma 'opinione pubblica'» (p. 109). Gli studi recenti sull'opinione pubblica sono ormai rivolti a «comprendere le condizioni che hanno reso possibile l'avvento di un 'pubblico' inteso come soggetto razionale titolare di diritti politici» (p. 109). Non si deve però ridurre all'idea settecentesca di "opinione pubblica" ogni categoria del discorso politico, poiché l'esistenza di un pubblico che s'interessa e discute di politica preesiste alle forme classiche della società borghese e non per forza coincide con il pubblico dei lettori. L'opinione pubblica è, quindi, espressione del processo di pubblicizzazione del potere. Proprio le ultime pagine del libro sono dedicate all'opinione pubblica. Essa è «concepita come il risultato del libero corso delle divergenze e delle dissidenze, secondo il modello inglese» (p. 132), ma anche come «il segno arcaico di un loro superamento e integrazione in un'opinione collettiva, organica e finalmente unanime» (p. 132). Questa dicotomia è «costitutiva della sfera pubblica moderna» (p. 132).
Il libro, capace di una ricostruzione tematica ampia e rigorosa, a mio parere non trae conclusioni, bensì esorta a continuare e approfondire lo studio sui fenomeni studiati, dopo avere più volte sostenuto come la storiografia sia orientata su nuove frontiere di ricerca. Il volume è corredato da Riferimenti bibliografici (pp. 135-154) e da un Indice dei nomi (pp. 157-160).

Piero Canale



[1] Sandro Landi insegna Storia moderna nell'Università «Michel de Montaigne» di Bordeaux. È autore di numerosi studi tra cui Il governo delle opinioni. Censura e formazione del consenso nella Toscana del Settecento, Bologna, Il Mulino, 2010; Naissance de l'opinion publique dans l'Italie moderne: sagesse du peuple et savoir de gouvernement de Machiavel aux Lumières, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2006; Note sul consumo di storia nella Toscana del Settecento, in La pratica della storia in Toscana. Continuità e mutamenti tra la fine del '400 e la fine del '700, a cura di E. Fasano-Guarini e F. Angiolini, Milano, Franco Angeli, 2009, pp. 169-190; Governare i popoli: la dimensione politica dell'opinione, in Firenze e la Toscana. Genesi e trasformazioni di uno stato (XIV-XIX secolo), a cura di J. Boutier, S. Landi e O. Rouchon, Firenze, Mandragora, 2010, pp. 273-288.



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