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martedì 2 giugno 2015

Ást, l’isola sommersa

Sergio Cataldi, Ást, l’isola sommersa, illustrazioni di Mariarosaria Stigliano, Biella, Lineadaria, 2014, 26 pp., ill., ISBN 978-88-9786738-8.

Ást, l’isola sommersa è un vero e proprio inno all’Amore, quello con la A maiuscola, quello puro, spassionato, che sa attendere ed attende con fiducia, e non solo una fiaba da leggere ai più piccini
Sergio Cataldi, l’autore, ha reso con una dolce malinconia lo scorrere delle parole, come una flebile nenia che arriva ai cuori di grandi e bambini e che tocca i più alti sentimenti umani, come il coraggio, la solitudine, la tristezza, la felicità e, infine, l’Amore tanto atteso; un amore che si ha fede di attendere anche se non presente e visibile nell’immediato, un amore in cui si crede affidandosi all’ascolto di racconti ormai perduti nel tempo.
Sergio Cataldi è nato a Palermo ed è laureato in Filosofia; è un personaggio molto noto nel panorama palermitano, conosciuto come deejay e conduttore radiofonico. Questo è il suo terzo scritto, preceduto da un racconto breve, Amnésie Blanche, pubblicato nel 2008, ed un romanzo, A passi rapidi, nel 2010.
La scrittura del volume è quella densa e lapidaria dell’epica e della mitologia di un tempo. Non a caso i luoghi ed i nomi scelti sono quelli di una nordica ed incantata Islanda, isola che riporta alla memoria illustri dialoghi ed eroi norreni. Una foresta fatata, dove ormai tutti vivono metodicamente lo scorrere del tempo, tutti eccetto Bolinmædi, impavido protagonista che sfida Líf, la foresta buia, metafora dello sconforto e di ciò che l’uomo non conosce.
Proprio addentrandosi nell’intricata e scura foresta, Bolinmædi incontrerà una donna rimasta intrappolata a causa di un sortilegio. Quella donna è Hrædsla, la Paura.
Tutti i nomi scelti per la narrazione, sono nomi parlanti, e così Bolinmædi è la Pazienza, Líf la Vita, e ciascuno diventa personificazione ed allegoria del nome che porta.
L’incontro rappresenta la svolta nella vita di Bolinmædi, che finalmente ha uno scopo, che potrà raggiungere solamente assieme a Hrædsla, ossia quello di riuscire a vedere l’isola di Ást, un’isola leggendaria ed avvolta nel mistero. Solamente con la pazienza, infatti, la paura può essere superata per affrontare la vita, e raggiungere l’Amore vero, l’Ást in islandese.
L’intero volume rapisce il lettore in una lettura scorrevole ed onirica, ben articolata. Il testo è corredato dalle illustrazioni di Mariarosaria Stigliano, artista tarantina, che dopo avere conseguito una laurea in giurisprudenza, ne consegue una seconda in pittura. Ha preso parte a molteplici concorsi a premi, ed ha inoltre partecipato al programma di Raitre Art News.
Testo ed immagini si mescolano simbioticamente, e ciò che è descritto con le parole, trova il suo riscontro immediato nelle illustrazioni contenute, che sono dei veri e propri quadri parlanti.
Nella pagina finale è presente un glossario con la traduzione dei termini in islandese. Un volume tipograficamente ben redatto, dal formato originale che risulta graficamente gradevole.


Agostina Passantino



L'età definitiva

Giuseppe Schillaci, L'età definitiva, Bari, LiberAria, 2015, 310 pp., ISBN 88-970-8984-4

Questo romanzo qui - di Giuseppe Schillaci, palermitano di 38 anni che vive a Parigi dove fa il regista di documentari, già candidato al Premio Strega 2010 con il suo esordio “L'Anno delle ceneri” - questo romanzo qui è un grandissimo libro.
E non è un grandissimo libro perché è scritto benissimo, strutturato in brevi capitoli che si leggono tutti d'un fiato, perché ha una trama forte e costruita alla perfezione, una struttura orchestrata con tecnica magistrale, un filo unico condotto con una caparbietà e una padronanza di mezzi che rende possibili anche numerose digressioni e divertissement, monologhi surreali, aneddoti comici e grotteschi, immagini emblematiche e indimenticabili episodi estemporanei, scritti peraltro con una scintillante cura e gusto per il racconto. Non è un grandissimo libro per la sua qualità narrativa, che è di altissimo livello, un qualcosa di molto efficace e molto contemporaneo, niente a che vedere con il vecchiume immondo che copre come una patina di muffa gran parte delle pubblicazioni che riguardano la Sicilia. Non è questo.
L'età definitiva è un grandissimo libro per motivi di necessità storica, direi “generazionale”. E' un grandissimo libro perché riesce a trovare una formula per raccontare - chiamiamolo così - il “sottotesto psicologico” della Sicilia negli ultimi 20 anni. Lo straniamento, il grande silenzio, l'uscita dalla Storia. Tutto quel garbuglio di dinamiche culturali e psicosociali che hanno irretito l'Isola dopo i grandi botti di Palermo, le bombe che hanno spazzato via Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e dopo quel corollario di bombe a Milano, Firenze e Roma che possiamo paragonare ai botti finali di un funesto gioco d'artificio. Deflagrazioni assordanti dopo di cui è seguito nient'altro che - ripetiamolo - un grande silenzio, accompagnato al limite da un fastidioso fischio nelle orecchie.
Vent'anni se possibile ancora più traumatici dei vent'anni precedenti. E' il “secondo tempo” della mafia e della storia della Sicilia (e dell'Italia), come l'ha chiamato Giuseppe Rizzo su Internazionale,[1] un secondo tempo in cui però quasi non si gioca. I giocatori latitano e rimane soltanto il pubblico, e anche quello è in procinto di andarsene perché ha trovato altro da fare, altre cose con cui ottundersi e distrarsi.
Così, se negli anni '70 e '80 in Sicilia - con i morti delle guerre di mafia, i cadaveri più o meno eccellenti, gli arresti, il maxiprocesso, i pericoli, le paure, gli orrori, la rabbia e la speranza - se in quel ventennio lì si percepiva in un modo o nell'altro di “essere nella storia”, di vivere un'epoca in cui qualcosa poteva cambiare - se in quei vent'anni lì c'era insomma un passato, un presente e un futuro - adesso si è come avvolti in una nebbia di eterno presente. Solleticati da mille stimoli, perennemente ipereccitati e nervosi ma in fondo profondamente immobili, intimamente desolati. La mafia ha vinto e continua a fare affari? Lo stato ha gettato la spugna? Che ne sarà della Sicilia? Ricoprirà stabilmente il ruolo di periferia depressa dell'Europa? Tutte domande di cui abbiamo sempre più paura di rispondere, raggelati come siamo dal nostro vivacchiamento economico, emigrazione di massa e scoramento civile.
Ma torniamo al libro. Come ci riesce, l'autore, a narrare tutto questo? Non con un romanzo storico, niente non fiction o thriller politico o opera classicamente “impegnata”. Niente di tutto questo. Non ci sono infatti né personaggi storici né eventi storici, in questo libro, se non sullo sfondo (come il botto, da lontano, dell'autobomba di Capaci, mentre i protagonisti giocano a pallone).
L'autore riesce - e non so quanto consapevolmente - a narrare tutto questo grazie a una storia quasi totalmente intima e privata, ambientata a Palermo, più esattamente a Brancaccio, nel 2011-2012. Il protagonista è Nico Chimenti, 33 anni, partito da Palermo dopo il fatidico 1992 quando aveva 14 anni. Uno che ha provato a fare il musicista a Berlino, che non ha avuto successo e che ora vivacchia lavorando in un bar di Roma. Uno che ha mollato ambizioni e speranze e che gestisce il deperimento delle sue energie con un'impassibilità solo apparentemente serena. Aggiorna il suo profilo sul Social Network (Real Net) e quando è un po' nervoso si rilassa collegandosi sul sito porno (Real Sex). Nico torna a Palermo per passare il capodanno con sua madre. Troverà un lavoro presso il centro commerciale “Area Center”, palesemente ispirato al “Forum Palermo”. Finirà coinvolto in un grottesco assalto di palermitani assatanati che vogliono accaparrarsi i televisori a prezzi scontatissimi (un episodio ispirato a fatti realmente accaduti almeno due volte, vedi qui e qui).
Incontrerà delle persone che hanno fatto parte della sua adolescenza e rivivrà i furori di quella stessa adolescenza. Chiaro il paragone con lo squallore dei suoi 33 anni, mentre prima la vita sembrava ancora procedere, non si era ancora nell'eterno presente, e ogni giorno splendeva di energia, tra la rock band, le partite di calcio e i primi - importanti e spesso crudeli - giochi sessuali.
La trama prenderà presto le movenze di un intrigante thriller, con personaggi che affiorano proprio da quell'adolescenza tanto decisiva: da un lato gli ex compagni di classe Simona e Salvo, procace e ambigua commessa la prima, intrallazzatore tutto macchinoni, feste e cocaina il secondo; dall'altro lato le figure del padre e del fratello gemello di Nico, custodi di agghiaccianti segreti che finiranno per travolgere il protagonista.
Il tutto in una Palermo di periferia e di borgata, in una Brancaccio area industriale sonnolenta e pittoresca dove Ferrari “color Ferrari” vengono parcheggiate vicino alle immancabili macchine bruciate e dove si ride per una motoape piena di frutta che si impenna e si ribalta una, due, tre volte. Una città in cui la globalizzazione è arrivata senza tanti clamori, con una passività e un'irredimibilità tutta siciliana, dove le vecchie logiche di potere proliferano ugualmente anche con i grandi centri commerciali, i centri scommesse, i cinema multisala e i ristoranti giapponesi.
Un grandissimo libro, ripetiamolo per l'ultima volta. Significativo e importante da molti punti di vista - come ho cercato di spiegare - ma anche fresco e godibile, alcune volte sfacciatamente spassoso. Come si può notare qui (pag. 98):

Mi ritrovo dentro la Bmw di Salvo verso Mondello, la spiaggia di Palermo. Arriviamo davanti a una villa liberty sul mare, sul pelo dell'acqua, coi pilastri che affondano dentro la sabbia. Il Charleston, così si chiama, è un complesso abusivo d'inizio secolo, più interessante dei complessi abusivi d'inizio millennio. Al Charleston c'è l'opening day del Trino Club, un'associazione-lista-movimento; ci sarà gente dello spettacolo, della cultura, russi e americani, baroni, avvocati e commercialisti, professori, artisti cattolici e scrittori ricchi, neo-borbonici e neo-democristiani, post-comunisti e post-autonomisti e, forse, i giocatori del Palermo.
È una giornata calda, a Mondello; una serata in cui hai l'impressione che l'Africa ti soffi sul collo; Salvo ferma la Bmw in doppia fila, lascia le chiavi al posteggiatore, che riverisce e intasca la mancia. (…) Seguo Salvo, che mostra l'invito alla sicurezza e avanza come se il Charleston fosse suo, la sua villa al mare.
Salvo Pennino sfoggia il suo repertorio di saluti: baciamano semplice, doppio bacio lento e appassionato, bacio rapido e sguardo altrove, mano allungata di lato (quasi di nascosto), abbraccio da rugby, stretta di mano possente, strizzata al sedere o alle guance, baciamano mezzo inchino e giravolta. (…)
All'improvviso la musica (dozzinale swing anni Cinquanta) s'abbassa e un uomo parla al microfono: ringrazia tutti, fa molti nomi, cariche istituzionali, siciliane e di Roma, di Milano, e poi attori, cantanti, i giocatori del Palermo, anche se nessuno li ha visti.
Avvocati imbellettati e relative accompagnatrici sfilano davanti all'uomo col microfono, e l'uomo sorride, ringrazia, e parla del futuro della Sicilia, dell'Italia e dell'Europa, delle amicizie internazionali, degli accordi già fatti e di quelli da fare. Poi promette una sorpresa finale e l'euforia spumeggia tra lo folla: chi sarà? Il presidente, il candidato, il delfino, l'ammiraglio?
Ecco la sorpresa, urla l'uomo-presentatore, a voi, per noi, per il Trino Club, per la nostra terra nel mondo: Totò Schillaci, l'eroe di Italia '90!

Nino Fricano









[1] Giuseppe Rizzo, La Sicilia è una guerra in due atti, http://www.internazionale.it/opinione/giuseppe-rizzo/2015/04/03/sicilia-mafia-antimafia (ultimo accesso: 02/06/2015).

Vite in cambio

Santino Gallorini, Vite in cambio. Gianni Mineo, il partigiano infiltrato che salvò dalla strage la popolazione della Chiassa, presentazione di Ivo Biagianti, Roma, Edizioni Effigi, 2014, ill., 201 pp., ISBN 978-88-6433-434-9.

Siamo tanto assuefatti al cinema e alle storie inverosimili, coscienti della finzione, ma avidi di spettacolarità, che, a leggere il libro di Santino Gallorini sulle gesta eroiche di Gianni Mineo, rimaniamo indifferenti, convinti di una finzione, delusi per i contenuti effetti speciali.
Siamo tanto avvelenati dalla deriva (s)fascista, dal berlusconismo mediatico (che è ormai tratto distintivo della cultura italiana) e da un'indifferenza (e anche un odio) verso l'Italia, la sua storia e gli uomini che l'hanno fatta, a tal punto da ritenere ogni storia, ogni racconto, ogni testimonianza, ogni esperienza una prova di una malafede, di una menzogna a uso e consumo dell'interesse di qualcuno.
Per questi motivi non siamo abituati alle storie come quella di Gianni Mineo, partigiano bagherese diventato "eroe della Chiassa" per aver salvato 200 persone a pochi minuti dalla fucilazione che i tedeschi avevano ordinato come rappresaglia al rapimento, da parte di una banda di slavi evasi dopo l'8 settembre dal campo di concentramento di Renicci (Anghiari), del colonnello Maximilian von Gablenz.
Non siamo abituati alla storia, confermata dalle fonti e dalle testimonianze di chi era presente e di chi visse tragicamente quei momenti di qualcuno che mette a rischio la propria vita per salvare quella di altri.
Siamo così negletti e meschini che ci voltiamo quando vediamo la "banalità" di una buona azione. Siamo così sporchi e coinvolti nella politica del "tutto oggi che domani non si sa", che ci piace denigrare chi ha fatto una scelta, chi ha deciso da parte stare usando la coscienza e non il mero profitto.
La storia della Resistenza e dei partigiani è prima di tutto storia di donne e di uomini, che hanno fatto una scelta, una scelta precisa: da quale parte stare. La parte di chi vuole lottare per cacciare i tedeschi che hanno invaso la penisola e liberare l'Italia, ma soprattutto per terminare una guerra incomprensibile, ingiusta, assurda, folle.
Santino Gallorini, con metodo storico e intuito di cacciatore di tracce, ricostruisce attraverso le fonti d'archivio, le testimonianze dei sopravvissuti e le memorie lasciate da Gianni Mineo, un capitolo della Resistenza, che insieme con le altre pagine di storia di quei tragici anni '40, contribuisce a rendere più chiara la storia italiana e chi sono gli italiani, che hanno permesso un riscatto democratico di una nazione stuprata dalla dittatura fascista.
Il merito di Santino Gallorini è di aver reso questo libro importante sotto molti aspetti, di cui due ritengo essere essenziali. Inutile ribadire poi il contributo che questo libro dà alla storia di Arezzo e della Toscana, e nello stesso tempo alla storia della Resistenza, e in particolare del contributo dei siciliani alla liberazione dal nazifascismo.
Il primo aspetto importante di questo libro è stato quello di raccogliere e far venire alla luce la bella vicenda di Gianni Mineo, altrimenti dimenticata «nelle pagine di un libro sfascicolato sul marciapiede presso la stazione di Arezzo». Una vicenda che Franco Ciminato, responsabile dell'ANPI di Bagheria descrive come «una storia dei paladini di Francia uscita da una pala dei Fratelli Ducato, Mineo con il suo inseparabile cavallo bianco, sembra la materializzazione di quei personaggi, nato in una Bagheria mitica che, Ignazio Buttitta altro partigiano e poeta, ci ha cantato insieme a Ciccio Busacca, o che Renato Guttuso ci ha dipinto nella serie dedicata alla resistenza per l'appunto, sembra un ritratto uscito da una foto e narrata in quel capolavoro che è Quelli di Bagheria di Ferdinando Scianna. Sembra una parte mancante nel film Baaria, o uno spezzone proiettato dentro il film Nuovo Cinema Paradiso di Peppuccio Tornatore».
 Il secondo aspetto importante è l'attenzione rivolta ai vivi, i 200 salvati dall'eroe bagherese e agli stessi Mineo e Rosario Montedoro, che dopo la guerra tornarono ad essere cittadini e lavoratori, e non ai morti, superando in questo modo un'assurda contrapposizione di natura ideologica, che si riduce miseramente alla conta dei morti di una parte e dell'altra per vedere chi ha ragione.
Questo libro fa bene all'anima, poiché dà la possibilità di ritrovare una dimensione umana dell'impegno e del sacrificio per gli altri, che la frenesia politica e tecnologica di questi ultimi anni inesorabilmente corrode.


Piero Canale



L'eroe di Paternò

Paolo Pintacuda, L'eroe di Paternò, Palermo, Il Palindromo, 2015, 224 pp., (Kalispera), ISBN 978-88-98447-14-5.

Siamo nel settembre 1866 e due uomini si cimentano in un faticoso viaggio a cavallo per la Sicilia, da est a ovest, inoltrandosi nel ventre di una natura selvaggia, feroce - tutta rocce aguzze, spine e rovi - lungo plaghe desolate che si estendono per chilometri senza alcun segno di vita, sotto un sole bruciante che confonde le menti e macchia i cappelli di sudore. Uno dei due è Vito Leone, ex soldato della Guardia Nazionale, siciliano che ha combattuto in Sicilia, spesso contro altri siciliani, per conto del neonato Regno D'Italia. L'altro è Angelo Botta, brigante della sanguinosa “banda delle montagne”, dai vaghi ideali autonomistici e anti-piemontesi. Uno è duro e taciturno, l'altro è sbruffone e parla di continuo. Uno è in catene, l'altro no. I due sono legati da un tragico antefatto e attorno ai due si dipanano storie di amori e tradimenti, passioni e cinismo. Dall'esito del loro viaggio, da est a ovest della Sicilia, dipende la vita o la morte della bella Virginia, figlia di un aristocratico in bancarotta. Sullo sfondo - ma lo sfondo a volte può diventare un personaggio perfino più importante degli altri – sullo sfondo una Sicilia dalla bellezza spaventosa, dai paesaggi sconfinati e quasi astratti, nel bel mezzo di un periodo storico tra i più sanguinosi e controversi della storia contemporanea.
Con una trama semplice e solida, personaggi forti e narrazione agile e brillante, il romanzo “L'Eroe di Paternò” di Paolo Pintacuda (Ed. Il Palindromo) scandaglia umori, dinamiche e atmosfere del periodo post-unitario in Sicilia. L'autore, 41 anni, di Bagheria, è uno sceneggiatore che nel 2010 ha vinto il prestigioso premio Solinas,  quello che ha lanciato, per dire, il talento di Paolo Sorrentino e che ha regalato al cinema italiano perle come Parenti Serpenti, I Cento Passi e Marrakech Express. Pintacuda, da par suo,  è uno che il cinema ce l'ha sempre avuto nel sangue e nel destino: suo padre è infatti quel Mimmo Pintacuda, fotografo e proiezionista, che ispirò Tornatore per il personaggio di Alfredo in Nuovo Cinema Paradiso.
Tanto cinema, si, e ora pure questo romanzo. Il suo primo romanzo, che è insieme cinema e letteratura. Parole-immagini per raccontare una Sicilia eterna e contingente, la Sicilia maledetta e irredimibile di sempre ma anche la Sicilia del 1866, quella dell'esplosione del brigantaggio, della renitenza di massa alla leva obbligatoria, delle rivolte popolari più o meno organizzate e delle feroci repressioni del neonato Stato Italiano. Un romanzo storico che prende dichiaratamente a piene mani dall'immaginario Western, rileggendone i cliché attraverso un'Isola che si presta benissimo al suo ruolo di territorio di frontiera, mondo inesplorato, teatro di sperimentazioni politico-sociali e di furori e movenze ancestrali.
L'ultimo - stupendo - capitolo è ambientato durante le fasi finali della celebre “rivolta del sette e mezzo” di Palermo, l'insurrezione armata durata appunto sette giorni e mezzo (16-22 settembre 1866) che coinvolse il capoluogo e buona parte della provincia. Quando, per fermare gli oltre 14mila insorti che si erano impadroniti della città, il governo sabaudo decise per lo stato d'assedio, mandò le truppe - guidate da Raffaele Cadorna - e ordinò ai soldati di sparare sulla folla con i fucili e con i cannoni. Un massacro. Uno degli eventi più traumatici che la Sicilia ricordi. E Palermo che si fece rappresentazione plastica e orrorifica di contraddizioni storiche inestricabili. Quadri di Garibaldi e di Vittorio Emanuele II sfregiati, buttati per strada e calpestati da tutti, carabinieri linciati dalla folla, decapitati da boia improvvisati, scaraventati giù dalle mura della città, appesi a ganci da macellaio, impiccati ai lampioni come monito e come trofeo. E soprattutto tanti, tantissimi morti sulla strada, “gente armata solo di panni rossi attaccati ai bastoni, effigi di Santa Rosalia e qualcuno persino di una bandiera americana con le trentaquattro stelle sull’angolo” ci racconta l'autore con le sue ennesime azzeccatissime parole-immagini.

Nino Fricano






Stampa, censura e opinione pubblica in età moderna

Sandro Landi, Stampa, censura e opinione pubblica in età moderna, Bologna, Il Mulino, 2011, 160 pp. (Universale Paperbacks il Mulino, 609), ISBN 9788815233912.

Il volume s'inserisce nell'ampio dibattito storiografico degli ultimi anni sulla stampa, la censura e l'opinione pubblica. Sandro Landi propone una «sintesi problematica» dei fenomeni in questione, ritenuti «costitutivi del mondo moderno» (p. 7), ripercorrendo una vasta letteratura e dando largo spazio agli orientamenti della ricerca storica recente.[1]
I tre oggetti del libro - la stampa, la censura e l'opinione pubblica - mostrano prospettive nuove e intercorrelate, man mano che gli studi di storia del libro affinano i propri strumenti di analisi e d'interpretazione. I risultati evidenti sono, infatti, fitte correlazioni tra i tre ambiti di ricerca.
Il primo capitolo, La rivoluzione della stampa (pp. 11-25), è dedicato all'invenzione della stampa a caratteri mobili, che la storiografia tradizionale ha sempre identificato come uno dei presupposti della modernità e dei progressi sociali e scientifici, e che, alla luce di nuovi studi, nella lettura di Landi è ridimensionata nel suo presunto «carattere rivoluzionario» (p. 11). Essa sarebbe, infatti, non tanto l'innovazione tecnica che rende possibile un «mondo nuovo» (p. 14), bensì una «invenzione che emerge in un contesto che è di profondo mutamento dello spazio del pensabile e del possibile» (p. 14).
Il secondo capitolo, Tra continuità e mutamenti (pp. 27-48), evidenzia l'evoluzione della stampa nel corso del suo primo cinquantennio di vita, individuandone le «caratteristiche materiali inconfondibili» (p. 27), che emancipano il libro dal manoscritto, ed altri aspetti inerenti alla diffusione della stampa e della lettura, come «il predominio delle lingue volgari sul latino» (p. 27). Gli studi più recenti hanno messo in luce le caratteristiche strutturali delle grandi stamperie, le quali ricorrono a «una ripartizione sempre più efficace del processo di composizione della pagina e dunque la divisione del lavoro determina un incremento delle capacità produttive che è senza paragone con i secoli precedenti» (p. 29). La ricognizione di Landi non si limita solo alle stamperie, ma si allarga anche a tutti quei «mestieri del libro» (p. 28), come i librai e gli ambulanti che li vendono, gli autori e gli editori. È interessante notare come «le trasformazioni che interessano il processo produttivo e l'economia del libro corrispondano a un significativo mutamento del ruolo [...] dell'editore e dell'autore» (p. 31).
Il libro di Landi si addentra però anche in altri «territori» (p. 49) della comunicazione, come l'oralità e il manoscritto. La comunicazione in età moderna è un «sistema in cui scrittura a stampa, manoscritto e oralità coesistono e interagiscono» (p. 51). L'oralità, che «si manifesta nel lato più quotidiano dell'attività [umana]» (p. 53), presenta il suo «carattere prioritario e insostituibile» (p. 53) e apre a nuovi oggetti potenziali di ricerca e all'affinamento degli strumenti storici per agire sulle fonti orali e sulle fonti per l'oralità. La pubblicazione manoscritta, invece, mantiene in tutta l'età moderna, un ruolo importante, seppure sia incontestabile il predominio progressivo della pubblicazione a stampa.
Il quarto capitolo del volume, Le logiche della censura (pp. 71-98), è dedicato all'evoluzione della censura e alle sue conseguenze culturali e sociali. La censura in età moderna non è limitata alla stampa e alla lettura, ma comprende tutta una serie di «pratiche istituzionali e culturali che [...] hanno limitato ma, nello stesso tempo, determinato le condizioni di esistenza pubblica della comunicazione a stampa» (p. 73). Il capitolo è dedicato ampiamente ai fenomeni della censura preventiva e della censura repressiva. La censura preventiva è una forma di esame del manoscritto da parte di «revisori designati da autorità civili o religiose» (p. 77). Spesso essa è il risultato di «soluzioni istituzionali o compromessi di fatto» (p. 79) tra le autorità ecclesiastiche e la sovranità di principi e repubbliche in specie di area cattolica. Studi recenti sul fenomeno hanno evidenziato l'esistenza di un regime speciale di clandestinità, spesso tacitamente consentita dall'autorità civile. In ogni caso il rapporto tra censura e cultura è dinamico e complesso e merita di essere studiato e approfondito.
L'ultimo capitolo del volume, L'opinione pubblica in età moderna: discorsi, pratiche, rappresentazioni (pp. 99-132), è dedicato al processo di formazione di un'opinione pubblica in Europa. Un processo che, non a caso, viene fuori in tutta la sua importanza dopo le riflessioni che l'autore ha fatto sulla stampa e sulla censura; si parte dal modello di opinione pubblica teorizzato da Habermas, secondo il quale l'abolizione della censura preventiva è condizione necessaria per la nascita dell'opinione pubblica in Europa. In questo processo la stampa svolge un ruolo essenziale. In paesi come l'Inghilterra, la Germania e la Francia emerge nel XVIII secolo una «sfera pubblica borghese» (p. 99), la quale - sempre secondo Habermas - abbandona il suo status di titolarità di razionalità, autonomia e critica nei confronti dello Stato per cedere alla pubblicità, al conformismo e alla massificazione. Gli studi recenti hanno messo in luce però come sia «improprio affermare che l'opinione pubblica [come categoria del discorso politico] esista solo a partire da questo periodo, perché l'accezione settecentesca di opinione evoca e condensa un insieme di significati anteriori e discordanti» (p. 103).  La seconda metà del Settecento è il momento in cui si afferma, prima in Francia e poi nel resto d'Europa, il «sintagma 'opinione pubblica'» (p. 109). Gli studi recenti sull'opinione pubblica sono ormai rivolti a «comprendere le condizioni che hanno reso possibile l'avvento di un 'pubblico' inteso come soggetto razionale titolare di diritti politici» (p. 109). Non si deve però ridurre all'idea settecentesca di "opinione pubblica" ogni categoria del discorso politico, poiché l'esistenza di un pubblico che s'interessa e discute di politica preesiste alle forme classiche della società borghese e non per forza coincide con il pubblico dei lettori. L'opinione pubblica è, quindi, espressione del processo di pubblicizzazione del potere. Proprio le ultime pagine del libro sono dedicate all'opinione pubblica. Essa è «concepita come il risultato del libero corso delle divergenze e delle dissidenze, secondo il modello inglese» (p. 132), ma anche come «il segno arcaico di un loro superamento e integrazione in un'opinione collettiva, organica e finalmente unanime» (p. 132). Questa dicotomia è «costitutiva della sfera pubblica moderna» (p. 132).
Il libro, capace di una ricostruzione tematica ampia e rigorosa, a mio parere non trae conclusioni, bensì esorta a continuare e approfondire lo studio sui fenomeni studiati, dopo avere più volte sostenuto come la storiografia sia orientata su nuove frontiere di ricerca. Il volume è corredato da Riferimenti bibliografici (pp. 135-154) e da un Indice dei nomi (pp. 157-160).

Piero Canale



[1] Sandro Landi insegna Storia moderna nell'Università «Michel de Montaigne» di Bordeaux. È autore di numerosi studi tra cui Il governo delle opinioni. Censura e formazione del consenso nella Toscana del Settecento, Bologna, Il Mulino, 2010; Naissance de l'opinion publique dans l'Italie moderne: sagesse du peuple et savoir de gouvernement de Machiavel aux Lumières, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2006; Note sul consumo di storia nella Toscana del Settecento, in La pratica della storia in Toscana. Continuità e mutamenti tra la fine del '400 e la fine del '700, a cura di E. Fasano-Guarini e F. Angiolini, Milano, Franco Angeli, 2009, pp. 169-190; Governare i popoli: la dimensione politica dell'opinione, in Firenze e la Toscana. Genesi e trasformazioni di uno stato (XIV-XIX secolo), a cura di J. Boutier, S. Landi e O. Rouchon, Firenze, Mandragora, 2010, pp. 273-288.



Il mistero di venerdì santo

Antonio Sobrio, Il mistero di venerdì santo, Tricase (LE), Youcanprint, 2014, 256 pp., ISBN 978-88-911-6591-6.

Il mistero di venerdì santo è thriller interamente ambientato sull'isola di Procida, la più piccola del golfo di Napoli, tra la sera del giovedì santo e la giornata successiva del venerdì, durante la quale si svolge la tradizionale ed attesa Processione dei misteri, che richiama ogni anno visitatori da ogni parte dell'Italia e del mondo. La storia vede protagonisti quattro trentenni, tre uomini e una donna, i quali si ritrovano a dover scoprire dove è nascosto il corpo di un loro amico scomparso, iniziando un percorso che li porta a compiere un avvincente itinerario attraversando l'ex carcere abbandonato, l'abbazia di San Michele Arcangelo ed altri luoghi suggestivi dell'isola, tra arte, cultura, storie e mistero, con sullo sfondo le straordinarie bellezze dell'isola.
In realtà, seguendo l'entusiasmante evolversi della vicenda che, rispecchiando appieno le caratteristiche del genere, tiene incollato il lettore, suscitando la continua curiosità di scoprire cosa accadrà, si ha modo di conoscere a fondo l'isola, la sua storia, le sue tradizioni, le sue caratteristiche fisiche ma anche sociali, pregi e difetti che la rendono estremamente affascinante ed ambita da turisti e personaggi famosi. Si presenta insomma come una sorta di guida dell'isola sui generis, allo scopo di renderne la sua conoscenza più interessante ed accattivante attraverso una storia fatta di mistero, intrigo, suspense e personaggi. Non mancano tuttavia episodi divertenti e passaggi in cui emergono chiaramente alcune tematiche non esclusivamente legate al luogo ed alla vicenda narrata.
Lo scritto è contraddistinto da uno stile piuttosto semplice e scorrevole che rendono la lettura piacevole e adatta ad ogni tipo di pubblico.
L'autore è Antonio Sobrio, educatore procidano di trentotto anni, con la passione per la scrittura, che lo ha portato già a scrivere vari romanzi di formazione auto pubblicati, oltre a pubblicare una raccolta di poesie con Libro Italiano, un racconto sulla raccolta Procida blues edita da Il Denaro ed a curare il libro Maria, storia di una donna procidana edito da Edizioni Fioranna, attualmente in ristampa nella versione contenente anche la traduzione in francese.
Il libro è edito da Youcanprint, piattaforma online per l'auto pubblicazione di opere letterarie. Lo scopo dell'autore è, infatti, principalmente proporre la propria creazione, al fine di dare visibilità alla propria isola, comunicare le sue idee e, perché no, alimentare il suo sogno di diventare scrittore e fare della propria passione un'attività alla quale dedicare sempre più tempo in futuro.


Antonio Sobrio



Il Natale di Poirot

Agatha Christie, Il Natale di Poirot, Milano, Mondadori, 2009, 209 pp., (Oscar narrativa, 1475), ISBN 978-88-04-51010-9.

A Natale, persone che non hanno alcuna voglia di essere amabili fanno uno sforzo per apparirlo… C'è in loro molta ipocrisia, a Natale, onorevole ipocrisia, senza dubbio, ipocrisia "pour le bon motif", ma sempre ipocrisia. E lo sforzo per essere buoni e amabili crea un malessere che può riuscire in definitiva pericoloso. Chiudete le valvole di sicurezza del vostro contegno e presto o tardi la caldaia scoppierà provocando un disastro.

È un Natale speciale a Gorston Hall: l'anziano e ormai invalido patriarca Simeon, ha, infatti, deciso di riunire intorno a sé l'intera famiglia. Così nella grande casa di Longdale, si ritrovano, dopo vent'anni, i quattro fratelli Lee: il devoto Alfred che, con la moglie Lydia, vive da sempre al fianco dell'adorato ma ingrato padre; il deputato George con la giovanissima consorte Maude, tanto avidi quanto bisognosi di denaro; il fragile David, convinto dalla saggia moglie Hilda a seppellire l'ascia di guerra nei confronti di quel padre, a suo dire, colpevole della prematura scomparsa della madre; e perfino Harry, figliol prodigo di cui nessuno pare sentir la mancanza. A completare il poco idilliaco quadretto familiare, si aggiungono, inaspettatamente, la spagnola Pilar Estravados, unica nipote di Simeon, appena giunta in Inghilterra su invito del nonno; e il giovane Stephen Farr, figlio dell'ex socio di Lee, di ritorno dal Sud Africa. Inevitabile che in una simile rimpatriata i vecchi dissapori tornino a galla, e se a gettare benzina sul fuoco ci si mette lo stesso padrone di casa, non deve sorprendere che, presto o tardi, ci scappi il morto...
Il binomio Natale-delitto è uno dei cliché più tradizionali, nonché più efficaci della letteratura gialla, e quando a servirsene è, come in questo caso, una maestra del genere come Agatha Christie, il successo è garantito. La cornice domestica cattura fin dal principio: ci ritroviamo in un'elegante dimora, a pochi giorni dal Natale, testimoni delle tante controversie familiari che, sotto una parvenza di educata cortesia, avvelenano i rapporti tra i membri di una famiglia dell'upper-class, accomunati dall'incapacità di dimenticare le offese, e dal risentimento verso il dispotico genitore, nelle cui mani - particolare non da poco - sono saldamente stretti i cordoni della borsa. Il romanzo, narrato con stile asciutto e tipica ironia inglese, si legge tutto d'un fiato, e coinvolge soprattutto grazie all'accurata caratterizzazione psicologica dei personaggi, che, accanto a Poirot, impariamo a conoscere poco alla volta. Del resto, come giustamente osserva lo stesso investigatore belga, il più delle volte la chiave del mistero sta proprio nella personalità della vittima e dei potenziali assassini. Ed è così che, tra l'osservazione di dettagli solo apparentemente casuali, acute ed inquietanti citazioni shakespeariane, e inaspettate rivelazioni, prende corpo un giallo puramente deduttivo, e perfettamente congegnato, in cui il lettore, divertendosi senza mai incorrere in veri turbamenti, partecipa attivamente alla storia, nel tentativo di risolvere il mistero prima dell'irriducibile Poirot. Tentativo decisamente vano, in verità, specialmente a fronte degli insospettabili segreti che vengono alla luce nel corso delle pagine, fondendosi in un racconto dalla struttura tanto semplice quanto sorprendente, in cui a far la differenza è la prospettiva secondo cui si guarda alle cose.
Un romanzo perfetto con cui intrattenersi in una serata di festa, e riscoprire, per qualche ora, il piacere puro e genuino del buon vecchio giallo d'epoca.


Alice S.