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mercoledì 20 marzo 2013

Fimmine ribelli




Lirio Abbate, Fimmine ribelli. Come le donne salveranno il paese dalla ‘Ndrangheta, Trebaseleghe (PD), Rizzoli, 2013, 208 p., ISBN 978-88-17-06359-3.

In Calabria le ‘ndrine sono la legge: è la terra dove i Pesce, i Bellocco, i Medda da Rosarno gestiscono traffici per tutta la penisola, con una manovalanza spietata e devota che afferma «è un onore per noi andare in galera»(p. 197).  In questa società  dai distorti valori, le ragazze sono sotto stretto controllo della famiglia e hanno il solo destino di sposarsi e figliare: «Non è facile dire di no alla ‘ndrangheta, per una donna. Nascere in una famiglia mafiosa implica quasi sempre assimilarne i valori e i codici di comportamento, accettando di rivestire un ruolo che può essere anche di prezioso sostegno gregario, ma sempre nell’ambito di una realtà in cui sono gli uomini a comandare davvero»(p. 191).
Ma in questo libro sono raccolte le storie di fimmine – perlopiù giovani spose e madri – che hanno saputo ribellarsi allo schema imposto loro dalla realtà in cui sono nate. La loro voglia di autoaffermazione scardina l’assetto del sistema e “disonora” la famiglia, ancor più se la donna si rivolge al Nemico, ossia lo Stato. Giuseppina Pesce, Rosa Ferraro, Maria Concetta Cacciola, Simona Napoli, hanno affrontato le loro paure e fragilità, ma ancor più, le loro famiglie. Hanno subito minacce, ritorsioni, ricatti: le ‘ndrine hanno calcato la mano su quelli che potevano essere pessimi esempi di condotta, giungendo alle esecuzioni delle più ribelli.
Su consiglio di Gaetano Grasso le loro storie sono state raccolte da Lirio Abbate, giornalista investigativo che ha sofferto sulla propria pelle le minacce mafiose e dal 2007 vive sotto scorta: «Il giornalista arriva dove il magistrato non può per legge. E muovendosi in questa terra di nessuno può scatenare l’ira di mafiosi, collusi e favoreggiatori, che si nascondono spesso dietro le facciate rispettabili di politici, commercialisti, avvocati, medici, giudici, banchieri e, a volte, anche giornalisti» (p. 12).
Con questa premessa, l’autore ricostruisce l’humus mafioso calabrese attraverso documenti e atti pubblici dei magistrati locali, inchieste e interviste a investigatori di questure e carabinieri, con un linguaggio chiaro e mai retorico. Il libro si fa leggere agevolmente, anche dai non esperti, e andrebbe consigliato nelle scuole perché, nel senso semanticamente più letterale del termine, è esemplare.

Eloisia Tiziana Sparacino


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