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mercoledì 5 giugno 2013

Ave Mary



Michela Murgia, Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna, Cles (Trento), Einaudi, 2012, 166 pp. (Super ET), ISBN 978-88-06-21458-6.

Dalla partecipazione ad un convegno in Sardegna sul ruolo della donna è scaturita la  volontà della scrittrice di riflettere più a fondo su questo tema. La Murgia, già vincitrice del Premio Campiello 2010 per Accabadora, è dichiaratamente una cattolica praticante che ha voluto rileggere, a partire dalla figura biblica della Madonna,  la realtà contemporanea femminile. Nell'introduzione ne spiega il motivo: «Sono sempre stata convinta che l'educazione cattolica abbia ancora un ruolo fondamentale nel fornire chiavi di lettura al nostro mondo, e anche quando crescendo molti abbandonano le convinzioni di fede o quando non le hanno mai avute, quell'imprinting culturale non viene mai meno, anzi continua a condizionare il nostro stare insieme di uomini e donne. Con tanta più efficacia di quanto meno viene compreso e criticato» (p. 7).
Sedimentazione – anche inconscia – di modelli (con riferimenti anche alle altre figure femminili bibliche) dunque, ma questo nelle intenzioni vuol essere un «libro di esperienza e non di sentenza»(p. 7). Non è una catechesi, ma la trattazione, in altrettanti capitoli, di sei temi-cardine della quotidianità sociale italiana, cercando di analizzarne le possibili radici nella formazione cristiano-cattolica. La scrittrice asserisce e argomenta così che tali origini, più o meno intenzionalmente, a tratti molto si discostano dalla effettiva narrazione biblica: l'immaginario collettivo nei secoli ha fatto di Maria la Madre e la donna angelicata assunta in cielo come in trionfo di Murillo. Ma in effetti Maria era la timida ragazza annichilita dall'annuncio, dipinta da Rossetti o, come scrivono i testi, una coraggiosa sedicenne che ha scelto autonomamente di dire 'sì' alla domanda dell'Angelo?  La risposta si svela nel corso della lettura.
Tratta il tabù della morte il primo capitolo («L'Italia è una repubblica fondata sulla negazione della morte», p. 10), che implica il “morire” dell'uomo e l'”essere morta” della donna; il secondo è il capitolo della Mater dolorosa, del vincolo cioè che lega la maternità al dolore – sia fisico che spirituale – da Eva in poi. Murgia prosegue, nel terzo capitolo, con l'analisi della “santità” femminile: se prima passava obbligatoriamente dal velo o dalla eroica castità, ora sembra dipendere dalla custodia esemplare del focolare domestico; nel quarto tratta di bellezza, partendo dall'assunto del kalòs kai agathòs e di Dorian Grey, la scrittrice scrive: «sono sempre le donne protagoniste dei messaggi pubblicitari collegati alle disfunzioni corporali, e spesso sono donne non più giovani il cui decadimento fisico è un appetibile terreno di marketing» (p. 89).
Dio è padre o madre? Il penultimo tema affrontato nel volume sembra esser stato risolto da Ratzinger con l'espressione del luterano Bonhoeffer: Egli è il “totalmente Altro”, ma il discorso argomentato è più vasto. L'ultimo capitolo parla di matrimonio, del rapporto uomo/donna tradizionalmente raffrontato a quello Cristo/Chiesa: ma la subordinazione femminile è veramente scritta nella Bibbia? Quale parte è storicizzazione e quale dottrina?
Lo sguardo critico della Murgia non è spassionato, perché, essendo donna, è di parte: ma è di certo sincero, perché «da questa storia falsa non esce nessuno se non ci decidiamo a uscirne insieme» (p.8).

Eloisia Tiziana Sparacino


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