Gemma Mannino Contin, Amiche mie, donne bellissime. Storie e leggende siciliane, Istituto
Poligrafico Europeo, Palermo, 2010, 154 pp., ISBN 978-8896251-12-6.
Storie
di donne ma non solo. C’è tanta bella Sicilia tra le pagine di questo libro: le
radici arabe, i colori del mare, i profumi della terra. E c’è la politica: gli
anni della devastazione ambientale, delle prime speculazioni edilizie e dei
quartieri popolari abbandonati all’incuria, privi di reti fognarie e di acqua.
Una cornice refrattaria al cambiamento e alla cultura la Sicilia di trent’anni
fa, dove le mamme dovevano bloccare le strade in segno di protesta per poter
lavare i loro bambini e le case, a causa della mancanza dell’acqua, ma anche il
luogo della rinascita grazie agli sforzi di chi su questa terra ha voluto
scommettere, anche a costo di perdere tutto, anche a costo di smentire
qualsiasi buona previsione: da Maria Bellisario, a Elvira Sellerio, a Concetta
e Lucia Mezzasalma, solo per fare alcuni nomi delle protagoniste di questo
libro. E c’è un sottile filo conduttore che tiene insieme quelle storie di
miseria e ribellione e di impegno sociale, culturale e politico: sono le donne
siciliane di nascita o di adozione che hanno speso tutta la loro esistenza a
sferzare le immagini stereotipate di una Sicilia ostile e inadatta allo
sviluppo. Sono loro che hanno dimostrato concretamente che l’unica via
possibile al cambiamento è «lo sforzo di grattar via, [sporcandosi], lo spesso
strato di polvere e di indifferenza che ricopre e immobilizza» questa
meravigliosa isola.
Sono le
donne che negli anni ’50 hanno lottato per «liberarsi dalla schiavitù, [per]
avere la libertà di coltivare la terra, di fare il pane. E di non dire al
mafioso del paese e, a nessun altro mai più: baciamo le mani» [p. 56]. Donne cariche di figli e di lutti che l’8
marzo del 1970 si riuniscono per la prima volta a piazza Matrice, davanti alla
Chiesa Madre, costrette a lottare, ogni giorno, per conquistare la propria
autodeterminazione, contro i soprusi di maschi attorvati – spesso anche
compagni – riottosi, in molti casi, a voler riconoscere loro rispetto e parità.
Sembra di vederle quelle donne, nella splendida descrizione che Gemma Contin fa
di quella prima manifestazione: il giallo delle mimose, il rosso delle
bandiere, il nero dei vestiti listati a lutto.
Da
quella manifestazione sono passati 40 anni di lotte e di conquiste: dalla
campagna elettorale porta a porta – come si faceva allora, quando si passava
più tempo tra la gente di strada e meno dentro le stanze di partito – ai
comizi, alle manifestazioni. E viene quasi un moto irrefrenabile di nostalgia
mista a rabbia quando Gemma ci ricorda gli scontri dell’8 luglio 1960 a Palermo
e il movimento dei ragazzi dalle magliette a righe, le «riunioni interminabili»
del Partito comunista. Rabbia e nostalgia per una realtà oggi troppo lontana e
forse perduta per sempre, in cui valori, ideali e senso di appartenenza
permeavano la vita di quei giovani che, totalmente assorbiti dalle letture e
dalle discussioni politiche, volevano cambiare il mondo. Il Sessantotto,
l’Autunno Caldo, il femminismo, l’impegno sociale e culturale e poi ancora la
guerra in Vietnam, il movimento pacifista ma anche i morti di Avola e la lotta
alla mafia. Il libro di Gemma ci racconta il dolce e l’amaro di un partito – il
PCI – cui va riconosciuto il merito di aver conseguito straordinari risultati
su temi importanti come i diritti dei lavoratori, la giustizia sociale, la
lotta contro la criminalità mafiosa, ma in cui per troppo tempo, è stato
vietato dissentire: la querelle del
Manifesto, l’invasione di Budapest, la primavera di Praga. Tutte cose contro
cui i giovani comunisti, quei giovani comunisti – di cui anche Gemma Contin
faceva parte – si sono battuti aspramente fino a quando la svolta di Berlinguer
del 1981 ha finito per dar loro ragione.
Pagine
di storia: storia d’Italia e di Sicilia che si intersecano inevitabilmente con
storie di vita. Perché questo significava fare politica a quei tempi:
rinunciare a un concerto il cui biglietto era stato acquistato molto tempo
prima, per partecipare alla riunione convocata in via Caltanissetta, dove si
trovava la sede del Partito Comunista di Palermo, per discutere la questione
del Manifesto e far valere le proprie ragioni di dissenso con la linea
ufficiale dettata da Roma, anche a costo di «maledire Occhetto e tutti i suoi
antenati» [p. 113] per aver convocato l’assemblea alle nove di una fredda
domenica di novembre.
Gemma
Contin ci regala col suo libro un pezzo di storia raccontato in modo diretto e
fresco, con uno stile scorrevole, accattivante ed emotivamente coinvolgente.
Chi, come me, ha vissuto anni di militanza politica ed è cresciuto in famiglie
che hanno dedicato la vita a quei valori e a quella storia, troverà tra queste
pagine una commovente traccia del proprio passato e della propria identità; per
quanti invece si fossero accostati da poco a quella storia, questo libro
costituisce un prezioso strumento di conoscenza, il segno e la memoria di un
passato che ha permeato, nel bene e nel male, la vita di questo paese negli
ultimi 60 anni.
Alessandra
Mangano
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