Walter Siti, Resistere non serve a niente, Milano, Rizzoli, 2013, pp. 324 (La
Scala), ISBN 978-88-17-05846-9.
Resistere non serve a niente è
l’ultimo romanzo di Walter Siti, vincitore del LXVII Premio Strega 2013, ma
questo non vuol dire niente.
Edito
dalla Rizzoli, il volume mi è stato segnalato da un’amica (attenzione: non
consigliato, segnalato!), affinché ne dessi un parere personale, visto
l’indiscusso successo raggiunto nella critica e nelle recensioni che si possono
leggere sul web, nonché la premiazione di cui si è detto.
Personalmente
non conoscevo né il romanzo, né lo scrittore, nato a Modena nel 1947, già
docente presso le Università di Pisa, Cosenza e L’Aquila.
Il mio
giudizio, però, non è positivo e non saprei neppure spiegare perché gli altri
invece lo siano: per assecondare il
vincitore di un premio letterario; per non andare contro corrente. Non saprei,
in ogni caso de gustibus…
Se
dovessi descrivere questo libro in una parola, lo definirei “squallido”.
Carico
di luoghi comuni, in cerca di approvazione e colmo di quegli atteggiamenti
corrotti e meschini fin troppo noti nello scenario italiano del III millennio.
Resistere non serve a niente mi
appare come la narrazione delle realizzazioni di un infelice che, nonostante
tutto, resta tale: Tommaso.
Tommaso
non ha fatto di sé un uomo, non ha forgiato il proprio carattere attraverso le
vissute esperienze, negative o positive che siano, Tommaso si è ritrovato
adulto ed ha voltato le spalle al suo passato e addirittura, se potesse,
prenderebbe in giro il giovane se stesso, deridendolo e schierandosi dalla
parte di quanti lo avevano realmente fatto.
Ha
cambiato aspetto, ricorrendo alla chirurgia estetica, eliminando assieme ai
chili di troppo il lato debole del suo carattere; la maschera che indossava è
divenuta il suo nuovo se stesso.
Se è
vero che «il carattere [non] sia fissato dalla prima infanzia» e che «quel che
conta è il lento sedimentarsi delle censure, delle preferenze, dei sotterfugi»
(p. 101), è anche vero che Tommaso durante la sua esistenza fa di tutto per
appagare e colmare i vuoti e le mancanze che si sono accumulate proprio a
partire della sua prima infanzia,
come la mancanza di un padre, o la presenza dominante di una madre troppo
schiava della sua condizione di donna rimasta sola.
Un bambino
insoddisfatto che si ritrova in mano un grande potere da adulto, ottenuto a
seguito di losche vicende e affari poco puliti, un potere che adopera per
diletto personale, come un voglioso adolescente: gioca, non pondera le
conseguenze delle azioni; trae piacere personale, senza produrre.
L’intero
volume risulta essere privo di una descrizione paesaggistica, di una
descrizione dettagliata dei personaggi e degli ambienti. Un turpiloquio che scade
spesso nella volgarità espressiva fine a se stessa, che a lungo andare risulta
noiosa e ripetitiva, e non, come tenta di essere, accattivante e maledetta,
come può risultare l’altrettanto perverso ma misterioso Sperelli di dannunziana
memoria.
Sono
tornata più volte a leggere il libro dall’inizio, a causa dell’istintiva
distrazione, per la mancanza di elementi di unione tra un discorso e l’altro,
ma anche a causa del triplice inizio del romanzo, prima sotto forma di
introduzione, poi di riflessione, infine come discorso in medias res, in cui è difficile introdursi e districarne i
personaggi.
Se
letto da chi non possiede una chiara cognizione della meritocrazia e di ciò che
è lecito o meno, il libro rischia di apparire fuorviante e pericoloso.
Inoltre
la prima parte mi appare totalmente priva di collegamento con la seconda: la
prima sembra quasi uno sterile riempitivo per aumentarne il numero di pagine,
come si faceva a scuola durante i temi; la seconda può dare spazio a spunti e
riflessioni su alcune dinamiche della corruzione e sulla famosa zona grigia tra criminalità e finanza,
sebbene il registro linguistico continui ad essere scurrile e volgare.
Dopo la
richiesta esplicita di Tommaso di fare sesso con la figlia dodicenne, rivolta
ad un padre di famiglia per ripagare un debito, episodio decisamente fuori
luogo, svincolato dal resto della trama, il romanzo termina senza fornire
nessuna informazione aggiuntiva sulle perversioni e sull’anti-meritocrazia
vigenti nell’Italia-che-conta e che decide le sorti di tutti.
Ne
verrebbe fuori una fiction serale in
due puntate.
Se
volete fare del male a qualcuno per Natale, sappiate che questo libro è il
regalo adatto da fare trovare sotto l’albero (finto e triste).
Agostina
Passantino
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