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mercoledì 5 marzo 2014

La lettera scarlatta

Nathaniel Hawthorne, La lettera scarlatta, Roma, Gruppo Editoriale L'Espresso, 2004, 333 pp. (Ottocento, 11), ISBN 88-89145-11-0.

La lettera scarlatta è la storia di violenza e di ipocrisia. Non voglio forzare in questa "recensione" temi che possono sembrare dettati dal tempo presente. Tuttavia questo romanzo del XIX secolo non riesce a non farmi pensare a due piaghe sociali che oggi contraddistinguono la società occidentale – e in particolare quella italiana – quali la violenza sulle donne e l'emarginazione sociale.
Non si vogliono generalizzare o minimizzare tematiche importanti, si vuole solo affermare la capacità di Nathaniel Hawthorne (1804-1864) di descrivere due fenomeni sociali con abile finzione narrativa – in modo tale da renderli estremamente pertinenti con i nostri tempi – e di spiegare i motivi che si insinuano nei meandri dei meccanismi socio-culturali.
Hester Prynne, la protagonista di questo romanzo, è colei che porta la lettera scarlatta. La lettera scarlatta è un odioso e infame segno della manifesta colpa adulterina della donna. Questo simbolo non rappresenta solo il marchio del peccato e la pena da scontare (Hester Prynne è obbligata a portarla per sempre sul petto, tenendola bene in vista). Esso è la cifra di una società. Non è bene fare paragoni tra epoche e luoghi differenti; è utile però evidenziare come l'amarezza di certe vicende lontane nel tempo e nello spazio, siano ancora oggi perfettamente calzanti e attuali, e siano proprie e connotanti di alcuni ambienti della nostra società.
È odioso parlare di violenza sulle donne nel XXI secolo del mondo cosiddetto "civile", eppure non si può che prendere atto che il cammino è lungo ancora per l'uomo bianco. Per questo motivo, non si può non pensare alla violenza subita da madri, spose, fidanzate e figlie, quando si leggono le azioni di un uomo come Roger Chillingworth, il quale condanna una donna, con il silenzio opportunista e vigliacco, alla dannazione pubblica in quanto "peccatrice", in quanto depositaria della sua stessa colpa perché donna e quindi fautrice della sua stessa pena. Come si fa a non parlare di femminicidio quando Arthur Dimmesdale, "rispettabilissimo" uomo di chiesa, accompagna Hester Prynne, con la bambina di pochi mesi al seno, al patibolo per il pubblico disprezzo, lui che è complice e padre di quella bambina. Due uomini, due complici di un misfatto nei confronti di una donna, che ha amato e che non ha voluto disonorare due uomini, che hanno scelto – nella codardia – di scrollarsi di dosso una responsabilità grande e bruciante: Arthur Dimmesdale, uomo di chiesa; Roger Chillingworth, uomo di scienza.
Dalla pena della donna si generano anche l'emarginazione sociale e il disprezzo. La lettera scarlatta sul petto di Hester Prynne, oltre a essere il marchio della violenza, è anche lo stemma dell'esclusione degli ultimi, di coloro che sono allontanati e messi al bando dall'onorata società, perché diversi, o peggio ancora perché ritenuti diversi a causa di un ricamo sul petto e di una bambina libera e bizzarra. Questa è l'emarginazione che ancora oggi contraddistingue le città occidentali, le città delle metropolitane, dei centri commerciali, degli uffici bancari, dei pub frequentati dalla buona borghesia, dei caffè letterari degli intellettuali. L'adultera è isolata e allontanata come i lebbrosi e gli appestati. E per strada si genera il largo durante il suo passaggio, in piazza si crea un cerchio di vuoto intorno a lei. Tuttavia, in questo romanzo, nell'emarginazione si produce il riscatto sociale, che è conferito dall'onesto lavoro e dall'assistenza e dalla vicinanza ai più deboli. Eppure non bastano il lavoro e l'assistenza a togliere via il pregiudizio, sebbene questo sia un passaggio significativo sull'attualità delle parole di Nathaniel Hawthorne.
Nello stesso modo però l'ipocrisia della società – che condanna Hester Prynne a portare la lettera scarlatta – genera le prime vittime. E le vittime sono proprio i due uomini già citati: Roger Chillingworth e Arthur Dimmesdale i quali soccombono rispettivamente nel senso di vendetta e nella codardia. Così muore Arthur Dimmesdale e tuttavia rimane nella memoria come santo, un sir Ciappelletto involontario e ancor più irrisorio, nei confronti del pastore. Una pena grande per l'animo di chi troppo tardi ha deciso di redimere e rendere manifeste le proprie colpe.
Roger Chillingworth muore nell'indifferenza e nella mancanza di scopo dopo aver condotto una parte della vita alla macchinazione della vendetta.
Questa è La lettera scarlatta, storia di violenza su una donna, di emarginazione sociale, di ipocrisia e dei loro effetti. Se insegnamento deve essere, è meglio non discuterlo in una recensione, che è, più che altro, una raccolta di pensieri su un classico della letteratura dell'Ottocento.


Lorenzo Cusimano



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