Michele
Serra, Gli sdraiati, Milano, Feltrinelli, 2013, 108 pp., ISBN 978-88-07-01834-3.
Esistono
i libri che ti fanno piangere. Quelli che ti fanno ridere. Quelli tristi e
quelli allegri. Quelli di pura fantasia. Quelli che ti raccontano la cruda
realtà. Esistono i libri di guerra. I libri che narrano una storia d’amore. E
ancora, quelli che ti lasciano a bocca aperta e quelli che ti lasciano, a
tratti, perplesso. Questo libro di Michele Serra, giornalista e scrittore
classe ’54, racchiude tutte le caratteristiche prima enumerate.
Gli sdraiati è il nome che Serra usa per
identificare la nuova generazione, quella dei nativi digitali, dei sedicenni
degli anni ’10 del 2000, che trovano nel divano il loro habitat ideale e
nell’orizzontalità “rilassata” la loro posizione preferita. Gli occhi da cui
tutto ciò viene osservato sono quelli di un padre che tenta in tutti i modi di
essere autoritario, ma si rende conto che questa autorità sarebbe una totale
simulazione; capisce, nel corso della narrazione, che non è nella sua indole,
che non fa per lui: arriva addirittura ad autodefinirsi “relativista etico”,
“dopopadre”.
Ma chi
sono queste creature mitologiche? Questi esseri che si aggirano per la casa e
le cui azioni non trovano la rituale e culturalmente accettata conclusione
circolare? La loro abitazione sarà piena di cassetti e di ante di armadi
aperti, migliaia di calzini sparsi ovunque, il lavello pieno di piatti sporchi,
i posacenere ricolmi di cicche di sigarette, i vestiti buttati ovunque, «sputi
di dentifricio nel lavandino e righe di merda nel water» [p. 87].
Esilaranti
le pagine in cui si dipinge la figura del figlio disteso sul divano,
trangugiante qualcosa, con tv accesa, cuffie collegate a un iPod nascosto non
si sa dove, cellulare nella mano destra, computer sulle gambe, e nella mano
sinistra un lembo di una pagina di un libro di chimica: il padre resta
attonito, ma allo stesso tempo estasiato alla vista, tanto che non riesce a
staccare gli occhi da questa immagine “sovrumana”. Il figlio non aspetta la domanda
ma, allo stupore del padre, risponde: «E’ l’evoluzione della specie» [p. 51].
L’adulto
si rende quindi conto che la stranezza, la particolarità, la a-normalità sta
negli occhi di chi guarda: tutto ciò, questo comportamento, non è né giusto né
sbagliato. Semplicemente «prima non si era mai visto» [p. 47].
A
separare un capitolo dall’altro degli incisi, a tratti nervosi, a tratti
allegri, a tratti collerici del padre nei confronti del figlio, tutti con lo
stesso tema: la passeggiata verso il Colle della Nasca. Questo percorso
naturalistico è quasi un’ossessione per il genitore, che non comprende la
reticenza dell’erede ad addentrarsi in questo viaggio fantastico e stupefacente
nei meandri di madre natura.
Il
romanzo risulta intenso e carico di significati: ogni frase, ogni espressione,
ogni costrutto appare ben calibrato e qualsivoglia parola non sembra essere lì
per caso.
Vincenzo
Bagnera
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