Franco Venturi: Uno sguardo alle biblioteche e agli archivi
italiani negli anni Sessanta (a cura di Piero
Canale).
Franco Venturi (1914-1994) storico e profondo conoscitore della cultura e
della politica del Settecento, riporta nella prefazione al primo volume di una
delle sue più importanti opere, Settecento
riformatore, una riflessione attenta sullo stato delle biblioteche e degli
archivi in Italia. Era il 1968, l'Italia cresceva economicamente e si poteva a
pieno diritto riflettere sul rilancio della cultura italiana.
Oggi le parole di Venturi appaiono ancora troppo attuali, troppo vere.
Spesso si fanno appelli – di recente un gruppo di ricercatori e docenti
dell'Università di Palermo ne ha rivolto uno alle istituzioni siciliane e
palermitane affinché si intervenga sullo stato della Biblioteca Comunale di
Palermo e della Regionale siciliana – che, quasi sempre, rimangono inascoltati
o giacciono nell'indifferenza della società civile.
Sarebbe interessante conoscere più in dettaglio la reazione alla denuncia
di Franco Venturi e se da essa si sia sviluppato un dibattito. Riportiamo,
tuttavia, le parole dello storico per farle nostre:
[...] ho vissuto troppo tempo in
compagnia di uomini come Genovesi o come Verri per credere, sia pure un
istante, che una impostazione teorica, anche giusta, risolva un problema di
ricerca storica. Anche nel mondo di Clio è necessario considerar da vicino quel
che accade quando si vuol passare dalle parole alle cose. Gli ostacoli che si
frappongono alla ricerca non sono soltanto teorici ma pratici. Quelli che trova
di fronte chi studia, ad esempio, il Settecento sono di natura ben concreta: le
nostre biblioteche, i nostri archivi, i nostri centri e strumenti di lavoro.
L'Italia è, ne sono convinto e lo ripeto, uno dei paesi d'Europa dove più larga
e approfondita è stata la riflessione, la discussione che accompagna ogni
movimento intellettuale e politico. Ma l'Italia è anche uno dei paesi in cui è
più difficile e faticoso giungere a contatto con i testi e i documenti in cui
questi dibattiti hanno lasciato le loro tracce. Siamo l'unico paese civile a
non possedere una biblioteca nazionale, una biblioteca, intendo, in cui ci si
possa ragionevolmente attendere di trovare qualsiasi libro e foglio apparso in
ogni angolo del proprio paese, dall'invenzione della stampa ad oggi. Le nostre
biblioteche, anche quando si chiamano nazionali, riflettono tuttora la secolare
suddivisione degli stati e staterelli italiani, ai quali si è sovrapposta una
stratificazione unitaria, che ha cento anni soltanto e che non ha modificato
nel fondo le ripartizioni regionali anteriori. Difficile trovare una gazzetta
palermitana settecentesca a Firenze (del resto, in certi casi, non la troveremo
neanche a Palermo), o un foglio di Pesaro a Torino, o un pamphlet napoletano a
Milano e così seguitando. E pensare che con i mezzi posti a disposizione dalla
tecnica moderna e con un po' di buona volontà da parte delle biblioteche degli
antichi stati italiani non sarebbe poi troppo difficile costruire, poniamo a
Roma, una biblioteca in cui si trovino tutti gli stampati italiani, in
originale o in riproduzione. Ma anche se la ricerca è locale (l'importante,
nella storia del movimento riformatore, è uscire dalla dimensione locale e
seguire un filo che trapassi le vecchie frontiere), anche se si cercano a
Milano cose milanesi e a Napoli cose napoletane, gli ostacoli, le difficoltà,
le impossibilità sono innumeri, e sormontabili soltanto con un dispendio grande
di energia e di pazienza. Inutile specificare: tutti conosciamo gli orari, i
cataloghi delle nostre biblioteche. Quanto ai nostri archivi essi sono, salvo
eccezioni, tra i meno inventariati d'Europa. La possibilità pratica di
consultarli varia straordinariamente da città a città, quasi che essi vogliano
conservare ancora, almeno in un angolo polveroso, quella pittoresca varietà che
colpiva l'occhio d'ogni viaggiatore nell'Italia dell'antico regime. Né,
inoltre, i regolamenti unitari che si sono sovrapposti all'originaria diversità
facilitano generalmente la consultazione di quelle antiche carte. Quanto poi
agli archivi privati, salvo, anche qui, belle eccezioni, basterebbe fare il
paragone con quello che è stato fatto e si fa in Inghilterra per accorgersi che
grandi sono ancora le distanze che ci dividono da una situazione soddisfacente
e normale. Ogni volta, in conclusione, che si esce da una nostra biblioteca o
da un nostro archivio nasce spontanea la considerazione che l'Italia è un paese
così ricco di documenti storici da non aver neppur bisogno di misurare,
ordinare, catalogare tanta dovizia. Evidentemente tra noi le terre di Clio
rendono benissimo anche a cultura estensiva e non val la pena di irrigarle e di
riorganizzarle. Ma i frutti storiografici son poi quelli che possono essere ed
è inutile che cerchiamo di paragonarli per quantità e qualità a quelli che
nascono in quegli angoli del mondo in cui sono state adottate tecniche
intensive. E, disgraziatamente, gli amici agricoltori ci insegnano che le
culture estensive tradizionali rischiano molto di rovinare il terreno. Fuori di
metafora, biblioteche ed archivi come ne esistono da noi, sono talvolta di
altrettanto difficile accesso quanto la biblioteca di Babilonia di Borges e
sono insieme depositi nei quali le tracce del passato possono più facilmente
obliterarsi, rovinarsi e scomparire.
Non ignoro, naturalmente, che queste
nostre biblioteche e questi nostri archivi sono, generalmente, degli strumenti
inadeguati, ma affidati alle mani di persone di gran buona volontà, le quali
sanno, quasi sempre, spingere la cortesia e la competenza loro fino al punto di
creare attorno agli studiosi un'atmosfera di eccezione, che permette di
superare gli ostacoli e di lavorare fruttuosamente. Come la monarchia
merovingia era un despotismo corretto dal regicidio, così i nostri strumenti di
lavoro costituiscono troppo spesso degli ostacoli corretti dal privilegio. Il
rituale e più che dovuto ringraziamento che desidero qui rivolgere, in tutta
sincerità, a coloro che mi hanno aiutato nelle mie ricerche è accompagnato così
dall'augurio che nella mani dei bibliotecari e degli archivisti nostri vengano
finalmente posti mezzi e strumenti che permettan di rendere accessibili a
tutti, con ben diversi orari e con strutture organizzative completamente
trasformate, i luoghi dove si conservano le testimonianze delle idee, delle
lotte e delle speranze delle generazioni passate [F.
Venturi, Settecento riformatore.
Da Muratori a Beccaria, Torino, Giulio Einaudi editore, 1968, pp.
XVI-XVIII].
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