Luciano Canfora, “È l’Europa che ce lo chiede!” (Falso!), Roma-Bari, Laterza, 2012, IX
+78 pp., ISBN 978–88–420–9337-4.
Cosa rappresenta davvero l’Europa? Possiamo definirla una
grande opportunità o piuttosto ammettere che si è trattato di una promessa mancata?
Attraverso questo breve saggio, Luciano Canfora – docente di filologia classica
all’Università di Bari – ci invita a riflettere attentamente sulle
contraddizioni legate all’Europa, intesa – oggi più di ieri – come la nuova
«ideologia» che ha scalzato quelle novecentesche messe ormai al bando.
La prima grande contraddizione dell’Europa è la mancanza di
unità politica: dal 1957, anno della stipula dei Trattati di Roma, gli europei possiedono una moneta unica ma
non uno Stato unitario. Lo storico non può omettere di sottolineare il
passaggio epocale che stiamo attraversando e che ci mette di fronte al declino
della sovranità affidata a parlamenti eletti a suffragio universale –
inaugurata dalla Gloriosa Rivoluzione inglese del Seicento – e all’avvento di una nuova forma di governo
in cui il potere effettivo è esercitato non da rappresentanti eletti
democraticamente dal popolo sovrano, ma da organismi finanziari potenti come la
Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale. Quali conseguenze
ha questo delicato passaggio di consegne – avvenuto peraltro a totale
insaputa dei cittadini – sui singoli Stati? Devastanti, secondo l’analisi
dell’autore: dal dimezzamento del valore reale dei salari, alla perdita di
consenso verso le tradizionali classi sociali di riferimento (così si spiega il
voto massiccio degli operai alla Lega Nord) il tutto condito da una legge
elettorale, il maggioritario, che, permettendo di vincere anche se si sono
perse le elezioni, dà vita a parlamenti svuotati delle loro funzioni e
prerogative.
La legge elettorale italiana, d’altra parte, è perfettamente
funzionale al disegno che ha portato alla degenerazione della dinamica
parlamentare: fino a qualche tempo fa ogni azione politica era improntata alla
logica del bipolarismo. Oggi al bipolarismo si è sostituita la “coesione”,
ovvero il fare insieme le cose che
contano, nell’interesse del Paese, mettendo da parte le ideologie. Quante volte
abbiamo sentito dire: questo non è un
discorso di destra o di sinistra, ma è un discorso di buon senso! Del resto
l’ideologia ha assunto una
connotazione negativa in un mondo in cui – dice Canfora – c’è un uso incolto di
questa parola. Così, opporsi all’abrogazione dell’art.18 – come richiesto dalla
BCE nell’agosto del 2011 – è ideologico;
affermare che il cambio reale della valuta non era basato – come ci avevano
fatto credere – sull’equivalenza 1 euro pari a 2000 lire, ma piuttosto 1 a
1000, con tutto ciò che ne è conseguito in termini di dimezzamento dei salari,
di contrazione del potere d’acquisto e della conseguente crisi del sistema
produttivo, ti fa guadagnare l’appellativo di qualunquista, antieuropeista
o, peggio, viste le ultime sortite del Cavaliere, berlusconiano. Eppure alle vecchie e tanto vituperate ideologie se
n’è sostituita una nuova l’Europeicità,
l’essere seguaci della quale è invece motivo di vanto e gloria.
A ben guardare, il principio della coesione – funzionale,
come si diceva prima, al processo di disfacimento della rappresentanza
parlamentare – è servito a eliminare dallo scenario politico le cosiddette “ali
estreme” (destra e sinistra) e a concentrare tutto sulla rincorsa a quello che
oggi viene chiamato “centro moderato”. L’indebolimento del dualismo
destra/sinistra ha fatto sì che la finanza e il mercato si sostituissero alla
politica. In Italia possiamo osservare l’esito più feroce di questo disegno se
consideriamo che in nome della crisi e per il bene del Paese, siamo stati
guidati per un anno da un governo tecnico che non è stato scelto dai cittadini,
ma imposto dall’esterno come ineluttabile necessità. Ma, si chiede Canfora,
destra e sinistra davvero non esistono più, o la loro scomparsa è invece da
considerare «un fenomeno inerente alla società piuttosto che alla realtà?» (p.
12). Il comunismo storico è fallito, diceva Bobbio nel 1994, ma aggiungeva
anche che il cammino verso l’eguaglianza è appena agli inizi. Eppure, se oggi
ammettiamo, senza troppe difficoltà, che il comunismo è fallito, sembra invece
impossibile scalfire l’idòlum
dell’eternità del capitalismo, malgrado la crisi mondiale che imperversa da
anni ormai dimostri tutto il contrario.
Ciò accade perché questa eternità, seppur fallace ed effimera, serve a
rafforzare l’azione della Banca Centrale Europea che riveste il ruolo di
attuale “forza direttrice a sé stante”, lo stesso ruolo che, ai tempi di
Gramsci, era rappresentato da giornali del calibro del Corriere della Sera o
del Times. L’esito primario dell’azione della BCE è quello di «abbattere
governi, farne nascere di nuovi, ordinare la crescita di coalizioni e vietare
referendum in paesi apparentemente sovrani» (p.25) come è evidente nel caso di
Italia, Grecia e Spagna.
Come possiamo reagire dinanzi a uno scenario tale in cui
assistiamo, inermi, alla delocalizzazione di quella forza direttrice a sé stante
che oltrepassa i confini del singolo Stato nazionale per ancorarsi saldamente
al potere bancario della cosidetta Troika? L’autore non ha dubbi e, citando
Nouriel Roubini, l’economista che aveva previsto la crisi del 2007, afferma che
non solo è possibile, ma è necessario addirittura svalutare l’euro, con buona
pace degli interessi nordamericani e della Germania che ha nell’eurozona il suo
mercato.
Insomma bisogna avere il coraggio di scegliere tra i diritti
sanciti dalla Costituzione e il potere economico e finanziario, tra i diritti
dei popoli e gli interessi del mercato. E, in questa scelta, si gioca – secondo
Canfora – la vera sfida della sinistra e la chiave della sua sopravvivenza.
Alessandra Mangano