Egle Palazzolo, La chiamata. Storia di un ragazzo che non sapeva sognare, postfazione
di Pietro Grasso, Palermo, Istituto Poligrafico Europeo, 2012, 56 pp., (I
contesti, 3), ISBN 978-88-96251-27-0.
Gaspare
ha soltanto cinque anni eppure già aiuta suo padre a pascolare le pecore.
Contandole, una per una, controlla se tornano tutte all’ovile e,
contemporaneamente, impara la matematica. Gaspare porta anche da mangiare al
padre latitante e consola la madre dopo l’omicidio di uno dei fratelli. Eppure Gaspare è diverso dalla sua famiglia,
sa di non essere come loro, non ama quella vita fatta di cose non dette, di
faide, ammazzatine e violenza. E per
questo si sente solo. Il suo viaggio in Argentina è una vera e propria
rinascita: «era come se l’aereo fosse ventre di madre e io, scinnennu dalla scaletta, nasciva arreri» [p. 19].
Nell’interrogatorio
fiume dinanzi al Giudice, costruito magistralmente da Egle Palazzotto, Gaspare
appare impotente dinanzi alla mafia, fenomeno che non si sente in grado di
condannare pienamente. Tutta la sua famiglia è, infatti, coinvolta in fatti di
mafia: «Una pelle è la mafia, signor giudice, e pure tutto quello che sta
attorno alla mafia» [p. 28]
Dunque
una colpevolezza innocente la sua? È questo il nodo attorno al quale si
articola la drammatica confessione di Gaspare. E, attraverso il suo
ragionamento, potremmo andare a ritroso, riaccostandoci a pagine ingiallite dal
tempo ma ben ferme nella memoria di ogni siciliano, da Sciascia a Falcone: il
parallelismo o, se si vuole, la lacerante dicotomia tra la connivenza e la
contiguità. In qualsiasi modo vogliamo analizzare il fenomeno mafioso è dal
sostrato culturale che è necessario partire, concetto che è perfettamente
racchiuso in quella frase di Gaspare che abbiamo riportato qualche rigo più sopra:
la mafia come una pelle, ce l’hai addosso e non puoi liberartene. Un’affermazione
disarmante nella sua incisività. La mafiosità è più che un atteggiamento, un
costume, un modus vivendi e operandi, è una sorta di alter-ego, di cui è
difficile e, in certi casi, persino impossibile spogliarsi. Così, per quanto
lontano tu possa scappare, per quanto poco o per niente tu possa sentirti
coinvolto nelle logiche tutte interne ai clan e alle famiglie mafiose, arriva
sempre il momento della resa dei conti: obbedire a un ordine. Se sei stato
scelto per uccidere, come nel caso di Gaspare, non importa chi sarà la tua vittima.
Non serve sapere che la persona che stai privando della vita, non ti ha fatto
nulla di male: tu devi ucciderlo perché queste sono le regole di Cosa Nostra.
Una sorta di giustificazione per sola fede. La mafia stessa è senso di
appartenenza ad una fede. Non risulta strano, in quest’ottica, il ricorrente
ricorso da parte di boss spietati e sanguinari alla lettura della Bibbia e non
è affatto raro trovare un mafioso credente. I killer di mafia uccidono senza un
perché. L’omicidio non è uno strumento di vendetta personale, se così fosse non
ci sarebbe motivo di assoldare degli esecutori materiali. Il killer esegue
degli ordini, molto spesso sa poco o nulla della persona che sta eliminando o
delle ragioni del delitto. Né è tenuto a conoscerli perché la consapevolezza
del movente costituirebbe, di per sé, un rischio per Cosa Nostra.
Poi ci
sono le donne in questo racconto di Egle Palazzolo. C’è la fidanzata di
Gaspare, Rosaria, quell’altrove in
cui diventa possibile ripartire da zero. E poi c’è la madre. Una donna talmente
assoggettata alle regole della famiglia mafiosa cui appartiene, da non essere
in grado di proteggere quel figlio diverso, che, nel passato, aveva persino
spinto ad andarsene, a cercare fortuna altrove. Non c’è nulla di Felicia
Impastato nella madre di Gaspare e, forse, di donne come Felicia, tra quelle
che fanno parte di famiglie di mafia, ce ne sono troppo poche. Troppe volte i
figli diventano agnelli sacrificali: pensiamo alla madre di Rita Atria, solo
per fare un esempio, allo sconvolgente cinismo con cui decide di ripudiare la
figlia e di mandarla a morire sola, in uno schema che segue un percorso del
tutto innaturale rispetto a quello classico e tradizionale della relazione
madre-figlia. Ed è in questo che la mafia acquista quel ruolo aggregante tipico
delle religioni. Di sacrifici umani sono piene Mitologia e Sacre Scritture.
Il
racconto-confessione di Egle Palazzolo è capace di liberare infinite
riflessioni non solo sul fenomeno mafioso, ma anche sul senso stesso del nostro
stare al mondo. Nei tre personaggi del racconto (Gaspare, la madre e il
Giudice) possiamo riconoscere pezzi importanti della storia siciliana. Attraverso
i loro atteggiamenti e le loro parole, possiamo ripercorrere a ritroso le tappe
fondamentali del lungo cammino compiuto fino ad oggi, tanto dalla criminalità
organizzata quanto dalle istituzioni. Un percorso non sempre nettamente diviso,
spesso intrecciato in un pesante intersecarsi di scambi, complicità e
connivenze. Ma anche una storia di speranza, di lotta e di successi.
Combattere
la mafia è prima di tutto una sfida sul piano culturale, è un lungo e complesso
viaggio per restituire ai bambini il loro diritto all’innocenza e al sogno.
Gaspare avrebbe potuto salvarsi se – come ci dice il titolo del libro – fosse
stato capace di sognare. Alla società e alle istituzioni spetta il compito di
insegnare ai bambini la bellezza del volo, la potenza dell’immaginazione, la
forza delle idee, il rispetto dei valori.
Alessandra
Mangano
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