Quando
crollano i regimi, a
cura di Paolo Viola e Antonino Blando, Palermo, Palumbo, 2004, 200 pp.,
(Bibliotheca, 29), ISBN 88-8020-583-8.
Quando crollano i regimi è un importante libro che segue le
diramazioni che la parola regime può assumere nel corso dei secoli, mutando
contesti geografici e politico-sociali differenti. «Che cosa è un regime?
Perché alcuni paesi hanno o hanno avuto dei regimi cioè complessi
politici-sociali-valoriali intesi come oppressivi, e non soltanto dei neutrali
"sistemi politici"?
Da dove viene l'accezione negativa di una parola di per sé polisemica
come quella di regime?
Perché un regime crolla, a quali condizioni, e chi sono i vinti e chi i
vincitori?
Si può parlare di "uscita dai regimi" e non di
"rivoluzione"?» [p. 7].
Paolo Viola e Antonino Blando, che curano questo libro, mettono insieme i
contributi di diversi storici, che riguardano i quesiti sopracitati e che gli
stessi curatori propongono nell'Introduzione.
La parola regime vuole dire in latino il governo della nave, per
metonimia il timone. Vuole anche dire il comando in generale, da regere, mentre nel Medioevo indica la
forma che la sovranità assume, ossia l'impianto istituzionale che gli uomini
costruiscono per regolare il dono divino della potestas (dono scaturito da dio). Il regimen è artificiale, imposto dagli uomini e consolidato dal tempo
e quindi non è la sostanza del comando politico [p. 7]. Essa viene analizzata e
«imposta insieme» all'altra parola al centro della discussione: rivoluzione.
La dicotomia "regime-rivoluzione" viene sciolta: Regime ®
violenza ® sistema costituzionale ® oppressivo totalitario / Rivoluzione
® violenza ® rovesciamento del sistema
costituzionale ® oppressivo terrorista.
Con la Rivoluzione francese la parola «regime» assume una valenza
politica per designare il vecchio mondo della monarchia assoluta,
caratterizzato da un'«oppressiva rigidità». L'Antico regime non era però solo
un insieme di ordinamenti, ma era una politica illegale, che negava i privilegi
di una società fondata sui privilegi, ossia una cultura basata
sull'ineguaglianza e sull'illegalità a sua volta, in cui è difficile discernere
politica e società.
Dopo la Rivoluzione francese la parola «regime», invece, assume due
significati: uno dotto, in uso delle scienze e delle dottrine politiche, che
indica il complesso di governo, ma anche una società e un insieme di valori che
presiedono al funzionamento delle relazioni di potere, un edificio coerente di
istituzioni che regolano l'esercizio del comando, rapporti sociali compresa
l'ideologia del comando che ne anima la vita; e uno corrente con un'accezione
negativa, poiché indica un sistema politico sociale e valoriale oppressivo, che
rifiuta la grande coppia di idee del 1789, cioè la libertà e l'uguaglianza.
Il libro si occupa in particolar modo di questo secondo significato,
esaminando la valenza negativa del termine e le «risposte ai traumi inferti
alla convivenza civile dagli apparati di potere oppressivi e dispotici» [p.
18].
L'uso dispregiativo del termine è particolarmente caratteristico
dell'Italia, dove il fascismo ha rivendicato per sé di essere un
"regime", per di più "totale" o "totalitario",
che si connota per un «primato incontrastato della politica, capace di sovvertire
la legge, controllare interamente la sera del sociale e anche del privato,
nonché l'organizzazione del consenso attraverso gli strumenti di governo [...]
i caratteri che definiscono i regimi totalitario: l'inesorabile macchina di
controllo della società e delle coscienze, il partito unico, l'invadenza
esclusiva dell'apparato politico nella vita privata dei cittadini, la
trasformazione di ognuno in un ingranaggio del regime» [p. 9].
Anche l'imperialismo capitalista è assimilabile a un regime.
I regimi cadono di morte violenta (rivoluzioni e guerre), ma anche per
interne crisi politiche (implosione) che prendono il nome di «transizioni». Le
cause principali del crollo dei regimi sono: l'eccessiva rigidità, la fragilità
interna e le pressioni internazionali. In ogni caso un regime oppressivo lascia
enormi problemi aperti.
Dopo il crollo dell'Unione Sovietica sembra proprio che la dicotomia
«regime-rivoluzione» viene a rompersi per una «mancanza di spazio per la
rivoluzione in un mondo 'unipolare' [...] [e poiché] ogni modello di rivoluzione
è destinato a disintegrarsi sotto l'incedere dei diversi punti di vista, delle
molteplici esperienze, dalle singole storie di vita, ognuna delle quali dà
forma ad una narrazione diversa degli avvenimenti in corso» [p. 18].
Il libro si compone di otto saggi:
Paolo Viola e Antonino Blando, Introduzione,
[pp. 7-24]; Paolo Viola, Via dagli
antichi regimi. La Francia e le Due Sicilie, [pp. 25-44]; Xabier Itçaina, Stato, Chiesa e territori. La transizione
democratica spagnola, [pp. 45-67]; Tania Groppi, La riconciliazione attraverso il diritto: il Sudafrica dall'apartheid
alla democrazia, [pp. 69-92]; Antonino Blando, Italia 1992-93: la retorica del regime, [pp. 93-116]; Hervé Rayner,
Tangentopoli e il crollo della
"prima repubblica", [pp. 117-144]; Paolo Viola, Fuori da un regime mafioso? Un'intervista a
Leoluca Orlando, [pp. 145-156]; Michele Perottino, Fine di regimi e fuoriuscite "post-comuniste": l'Europa
centrale, [pp. 157-179]; Marco Buttino, Dopo
la fine del regime sovietico: il caso uzbeco, [pp. 181-200].
Piero Canale
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