Carlo Emilio Gadda,
Quer pasticciaccio brutto de via Merulana,
Milano, Garzanti, 2000, 340 pp., ISBN 88-11-66642-2.
Nella primavera
del 1927 a Roma, in una palazzina di via Merulana, conosciuta come "il
palazzo degli ori" perché abitato da benestanti, sullo stesso piano e a
distanza di pochi giorni, sono commessi due delitti: la rapina in casa della
Contessa Menegazzi e l’assassinio della giovane signora Liliana Balducci. Le
indagini sono affidate al dott. Ciccio Ingravallo, funzionario molisano. Le
ricerche tendono a collegare l'omicidio con la rapina, anche perché
dall'appartamento dei Balducci sono spariti gioielli e denari. Ingravallo
decide il fermo di un cugino di Liliana, Giuliano Valdarena, che però ha un
alibi di ferro. Le indagini sul furto in casa Menegazzi si allargano al mondo
del sottoproletariato dell'estrema periferia romana. A Marino s'indaga su una
tintoria, appartenente a Zamira Pacori, luogo d'incontro di giovani prostitute,
tra cui una ex cameriera dei Balducci. In una casa della campagna romana si ritrovano
i gioielli rubati.
Ingravallo
ipotizza una rosa di possibili colpevoli e arresta per la rapina Menegazzi un
giovane, che però non è colpevole dell’omicidio Balducci. Alla fine delle sue
ricerche, il commissario individua come possibile colpevole Tina, una delle
tante ragazze di cui ambiguamente la Balducci si circondava, sospinta forse da
un desiderio di maternità sempre deluso. Tina, messa alle strette
dall'interrogatorio di Ingravallo, si grida innocente e il delitto si configura
sempre più come un inestricabile pasticciaccio al quale il romanzo non dà
nessuna soluzione.
Come si evince
dalla narrazione della trama, il responsabile dell’indagine è il commissario
Ingravallo. E’ un uomo che spesso s'induce a riflessioni filosofiche, chiarendo
la sua particolare filosofia di vita.
«Sosteneva, fra l’altro, che le
inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia
d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto
di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato
tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o
garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo. Ma il termine
giuridico "le causali, la causale" gli sfuggiva preferentemente di
bocca: quasi contro sua voglia».
L’indagine
che si va dipanando sembra allontanarsi dal suo centro d’interesse, rapina e
omicidio, e comincia, a poco a poco, a spostarsi sulle esistenze dei personaggi
che cominciano a vivere di vita propria e a comunicare il flusso vitale che li
anima. Non solo.
Spesso
appare chiara anche l’esigenza dolorosa del commissario non tanto di
individuare il movente e l’autore di un delitto, ma di capire il senso
dell’esistenza umana che si svolge in un groviglio, appunto, di contraddizioni.
Chi legge si ritrova perciò a pensare che il “pasticciaccio” non sia solo
quello di via Merulana, ma piuttosto quello che angoscia le nostra esistenza.
In questo
desiderio di capire un po’ di più, penetrando a fondo nel senso delle cose, si
inserisce la scelta del linguaggio: anche dal punto di vista linguistico c’è il
desiderio di “entrare” nelle cose, nelle persone, nei luoghi, di animarle di energia
nuova e di creare nuove relazioni vitali.
A
questo punto le scelte sintattiche e lessicali si impongono sulla narrazione
degli eventi e dilatano la storia in descrizioni, di caratteri, di paesaggi, in
approfondimenti psicologici e sociali senza pari. Oltre ai tre
dialetti usati frequentemente - romano, molisano, napoletano - sono utilizzati,
con divertimento facilmente intuibile, numerosi neologismi o accostamenti
innovativi.
In un contesto sociale chiaramente
delineato, dal ceto medio-alto delle vittime al degrado sociale e morale della ”corte
dei miracoli” della periferia romana, si inserisce un piano di narrazione che
si distacca sia da quello della banale comunicazione quotidiana, sia da quello
letterario tradizionale.
Viene fuori così una mescolanza,
un “pasticciaccio” di luoghi, persone, fatti, caratteri, vocaboli, sintassi, colori,
paesaggi, ceti… Ed è un “pasticciaccio” intricato, difficile da districare… insomma
“brutto”.
Vincenzo Bagnera