Saverio
Lodato e Roberto Scarpinato, Il ritorno del principe, Milano, Chiarelettere, 2008, 347 pp., ISBN
978-88-6190-056-1.
Il ritorno del principe è
l'analisi politica, sociale e storica della criminalità al potere, ovvero del
potere criminale in Italia. In che modo il Principe mantiene
il suo potere: con l'assenza di meritocrazia, con le nomine dal
vertice (vedi legge elettorale), oscurando l'informazione su indagini e
processi che vedono come imputati i colletti bianchi. Non
dobbiamo preoccuparci, quindi, solo di Riina e Provenzano: ma del potere
criminale che si serve di loro.
In che
modo il Principe amministra il potere? Secondo i consigli del Machiavelli:
“il fine
giustifica i mezzi”. E quali sono i mezzi con cui raggiungere
questo fine? Essenzialmente – secondo l'analisi del Procuratore Antimafia
Roberto Scarpinato – la corruzione, la mafia e il terrorismo stragista. I
soldi per comprare consenso, avversari e potere. La mafia per il controllo del territorio, ma anche per
corrompere e monitorare la società. Lo stragismo come estremo rimedio,
per creare confusione, paura, tensione.
È mai
possibile che Totò Riina e Bernardo Provenzano abbiano potuto vivere
tranquillamente la loro latitanza quarantennale, riuscendo a sfuggire
all’arresto così a lungo? È ipotizzabile che Cosa Nostra conoscesse
esattamente gli spostamenti del giudice
Falcone, tanto da approntare, con settimane di anticipo, l’attentato
dinamitardo di Capaci?
Il
giudice Scarpinato (già a fianco di Falcone e Borsellino prima e Caselli dopo)
e il giornalista Saverio Lodato hanno voluto allargare il discorso sulla mafia
e inserirla in una cornice prettamente storico-culturale. Si può parlare, in
Italia, di una storia criminale della classe dirigente? Gli autori fanno
riferimento ad una vocazione perpetua alla violenza da parte delle classi
dirigenti italiane, che utilizzano perfino l’omicidio e la violenza fisica,
come strumenti concorrenziali in un mercato dove il fine da raggiungere è l’assunzione
di posizioni monopolistiche.
In
molte occasioni le classi dirigenti e la loro rappresentanza politica (sia a
destra che a sinistra) hanno mostrato di preferire la lotta alla magistratura
piuttosto che quella contro la criminalità organizzata. Giustizia e iter processuali sono stati
oggetto di numerosi rimaneggiamenti e proposte di riforma, spesso discutibili;
in nome di un apparente garantismo si nascondono, piuttosto, veri e propri
tentativi di regalare per legge l’impunità
ai colpevoli.
In Italia,
in altri termini, la violenza della classe dirigente e la copertura prestata
dalla rappresentanza politica alla criminalità, risalirebbero alle teorie di
Machiavelli e al franco elogio che l’intellettuale fece di assassini come
Cesare Borgia. Nei testi dello storico è possibile cogliere una peculiarità
socio-culturale propria degli italiani e un modello di comportamento che
dimostra, secondo Scarpinato, «la normalità della pratica dell’omicidio e
dell’astuzia sleale nella lotta politica, in dispregio di ogni regola e
criterio di lealtà, anche nello scontro militare» [p. 86].
Biagio
Bertino
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