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domenica 5 gennaio 2014

Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica

Martha C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, introduzione di Tullio De Mauro, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 160, (Intersezioni, 371), ISBN 978-88-15-14942-8.

L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana e
 al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e
delle libertà fondamentali.
Essa deve promuovere la comprensione,
la tolleranza,
l’amicizia fra tutte le nazioni,
i gruppi razziali e religiosi.
(Dichiarazione universale dei diritti umani, 1948) [p. 31]

Questo libro è un ottimo strumento di consultazione in grado di offrire validi argomenti da contrapporre ai fautori della cosiddetta «scelta anticlassica»[p. 10]. Sempre più diffusa in tutto il mondo è ormai l’idea che le materie umanistiche siano non solo obsolete, ma assolutamente inutili alla crescita del prodotto interno lordo di un Paese.
È ovvio che chi pensa che la scuola abbia come finalità solo ed esclusivamente la crescita economica, sarà pienamente soddisfatto dalla visione – riproposta anche nel nostro Paese qualche annetto fa – delle tre i (informatica, impresa e inglese). Ma il ruolo della scuola non può esaurirsi al solo obiettivo dell’aumento della produttività del Paese. La scuola ha un compito molto più importante e complesso: deve formare cittadini consapevoli e capaci di vivere in democrazia.
Nella sua prefazione al testo della Nussbaum, De Mauro ci ricorda come l’inglese – la lingua internazionale per eccellenza – sia costituito per il 70% dal latino classico e medievale, mentre solo per il 10% dall’antico fondo germanico. Il passato è quindi molto più importante di quanto alcuni pensano e, conoscere le nostre origini, è imprescindibile per capire che tipo di cittadini vogliamo essere e quale contributo saremo in grado di dare alla società.
È per questo che in alcuni paesi non occidentali le lingue antiche rivestono un ruolo fondamentale nella società. È così per l’antico giapponese o per il cinese classico, solo per fare alcuni esempi. Esistono quindi delle realtà nelle quali, per fortuna, «non bastano l’istruzione tecnica o la sola istruzione scientifica» [p. 14].
Alla luce di questa premessa, tanto più in un periodo di forte crisi economica come quello che stiamo drammaticamente vivendo in questo momento, Nussbaum ci esorta a riflettere su un’altra crisi – tanto tragica quanto importante, ma forse meno sentita – la crisi mondiale dell’istruzione.
Dinanzi alla logica del profitto – che ha determinato la crisi economica di cui siamo attualmente vittime più o meno inconsapevoli – viene meno la democrazia. In uno scenario come questo, i cittadini sono destinati a scomparire per cedere il posto a vere e proprie macchine alle quali a poco o a nulla sono utili gli studi umanistici. Questi, infatti, non servono a garantire profitto a breve termine. Dunque, dappertutto nel mondo, tanto in America quanto in Europa e in India, sembra che l’interesse sempre più ricorrente riguardi l’istruzione tecnologica e scientifica con una sempre più rilevante attenzione verso ciò che Tagore chiamava «il rivestimento» materiale dell’essere umano. Eppure, come dimostrerà Nussbaum nella sua opera, senza anima e pensiero critico non può esserci democrazia né, tantomeno, crescita economica. Anzi, proprio la dicotomia che negli anni si è venuta a creare tra «istruzione per il profitto» e «istruzione per la democrazia», non ha ragione di esistere. 
Ma cos’è veramente il progresso per una nazione? Per molti oggi la nozione di progresso è strettamente connessa all’incremento del Prodotto Interno Lordo e ciò a prescindere realmente dal livello di squilibrio e di diseguaglianza sociale della nazione. Infatti, ci dice l’autrice, il problema del paradigma di sviluppo basato sull’aumento del Pnl pro capite è che «trascura la distribuzione e questo diventa allarmante per quei paesi che già sperimentano situazioni di forte disparità»[p. 37].
È ovvio che le materie umanistiche creano sapere critico e che in molte realtà – una fra le tante Guajarat in India, dove i contadini poveri non hanno mai ricevuto un’istruzione adeguata – si preferisce scoraggiare questo tipo di istruzione in quanto ostacolerebbe pericolosamente la formazione di lavoratori obbedienti e senza grosse pretese nè rivendicazioni di alcun genere.
La dicotomia tra formazione per il profitto e formazione per la democrazia è, del resto, lo specchio della società contemporanea scissa, oggi più che mai, tra «persone preparate a vivere con gli altri in termini di rispetto e reciprocità e persone che perseguono il beneficio della prevaricazione» [p. 46].
 Partendo dal principio che non può esistere democrazia senza pensiero critico dei cittadini, la figura di Socrate, secondo Nussbaum, acquista un rilievo importantissimo nell’educazione umanistica ma viene anche ostacolata dal mondo del profitto e ciò proprio perché le persone che sanno riflettere sono anche meno influenzabili. L’incapacità di ragionare con la propria testa porta l’individuo a sottomettersi con una certa facilità alle sirene del potere e dell’autorità in modo assolutamente acritico, per quanto ciò che viene proposto possa essere abietto. Per Socrate non conta affatto lo status dell’oratore bensì la qualità del suo ragionamento [p. 68]. Pertanto è ovvio che non esiste, nell’ambito della discussione, un dislivello: tutti sono uguali al momento della discussione, indipendentemente dalla loro appartenenza sociale.  
È dunque indispensabile, alla luce di questo ragionamento, impegnarsi in modo tale che quegli aspetti dell’istruzione che servono a mantenere in vita la democrazia, possano essere rafforzati e incentivati: lo studio della storia delle minoranze o degli immigrati ad esempio, ma anche dei rapporti razziali, delle dinamiche di genere e delle lotte di nuovi gruppi per il riconoscimento e la parità [p. 136] sembrano oggi di un’attualità cocente, specialmente per far fronte ai conflitti sociali e religiosi e ai problemi legati al terrorismo e alla sicurezza delle nostre metropoli.
Per questa ragione non immune da critiche è, per la Nussbaum, il sistema di valutazione basato sui test: secondo la studiosa, infatti, «la riflessione critica e l’immaginazione simpatetica non sono valutabili tramite esami a scelta multipla» [p. 146]. Purtroppo questo sistema, molto diffuso negli Stati Uniti, è diventato molto comune anche nelle scuole italiane con le odiose prove Invalsi.
Sappiamo perfettamente come i fondi destinati alla ricerca umanistica e, più in generale, al patrimonio storico-culturale siano sempre più esigui, eppure, per migliorare la situazione in cui versano le materie umanistiche nel mondo, ci vorrebbe innanzitutto un «investimento umano» [p. 152]. Non servono soltanto i soldi perché si tratta innanzitutto di una questione culturale. Un’educazione scolastica o universitaria senza alcun riguardo per l’aspetto critico e l’esclusiva attenzione nei confronti delle materie tecniche e scientifiche sono ciò che Tagore definiva un «suicidio dell’anima» [p. 153]. Il vero dramma è che da questo suicidio nascono dittature e genocidi che minacciano la vita stessa della democrazia.
Se le lettere e le arti non servono a produrre denaro, sono imprescindibili invece a costruire un mondo «degno di essere vissuto» in cui gli esseri umani hanno imparato a rispettarsi a prescindere dalle diversità o, forse, proprio grazie a quelle diversità.
Consiglio la lettura di questo brillante saggio a tutti e, specialmente, a quanti nel nostro Paese sono chiamati ad occuparsi di educazione, istruzione e cultura in ambito istituzionale. Chissà che le loro scelte non ne vengano positivamente condizionate.


Alessandra Mangano



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