Martha
C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura
umanistica, introduzione di Tullio De Mauro, Bologna, Il Mulino, 2011, pp.
160, (Intersezioni, 371), ISBN 978-88-15-14942-8.
L’istruzione
deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana e
al rafforzamento del rispetto dei diritti
umani e
delle
libertà fondamentali.
Essa
deve promuovere la comprensione,
la
tolleranza,
l’amicizia
fra tutte le nazioni,
i
gruppi razziali e religiosi.
(Dichiarazione
universale dei diritti umani, 1948) [p.
31]
Questo
libro è un ottimo strumento di consultazione in grado di offrire validi
argomenti da contrapporre ai fautori della cosiddetta «scelta anticlassica»[p.
10]. Sempre più diffusa in tutto il mondo è ormai l’idea che le materie
umanistiche siano non solo obsolete, ma assolutamente inutili alla crescita del
prodotto interno lordo di un Paese.
È ovvio
che chi pensa che la scuola abbia come finalità solo ed esclusivamente la
crescita economica, sarà pienamente soddisfatto dalla visione – riproposta
anche nel nostro Paese qualche annetto fa – delle tre i (informatica, impresa e inglese). Ma il ruolo della scuola non
può esaurirsi al solo obiettivo dell’aumento della produttività del Paese. La
scuola ha un compito molto più importante e complesso: deve formare cittadini
consapevoli e capaci di vivere in democrazia.
Nella
sua prefazione al testo della Nussbaum, De Mauro ci ricorda come l’inglese – la
lingua internazionale per eccellenza – sia costituito per il 70% dal latino
classico e medievale, mentre solo per il 10% dall’antico fondo germanico. Il
passato è quindi molto più importante di quanto alcuni pensano e, conoscere le
nostre origini, è imprescindibile per capire che tipo di cittadini vogliamo
essere e quale contributo saremo in grado di dare alla società.
È per
questo che in alcuni paesi non occidentali le lingue antiche rivestono un ruolo
fondamentale nella società. È così per l’antico giapponese o per il cinese
classico, solo per fare alcuni esempi. Esistono quindi delle realtà nelle
quali, per fortuna, «non bastano l’istruzione tecnica o la sola istruzione
scientifica» [p. 14].
Alla
luce di questa premessa, tanto più in un periodo di forte crisi economica come
quello che stiamo drammaticamente vivendo in questo momento, Nussbaum ci esorta
a riflettere su un’altra crisi – tanto tragica quanto importante, ma forse meno
sentita – la crisi mondiale dell’istruzione.
Dinanzi
alla logica del profitto – che ha determinato la crisi economica di cui siamo
attualmente vittime più o meno inconsapevoli – viene meno la democrazia. In uno
scenario come questo, i cittadini sono destinati a scomparire per cedere il
posto a vere e proprie macchine alle quali a poco o a nulla sono utili gli
studi umanistici. Questi, infatti, non servono a garantire profitto a breve
termine. Dunque, dappertutto nel mondo, tanto in America quanto in Europa e in
India, sembra che l’interesse sempre più ricorrente riguardi l’istruzione
tecnologica e scientifica con una sempre più rilevante attenzione verso ciò che
Tagore chiamava «il rivestimento» materiale dell’essere umano. Eppure, come
dimostrerà Nussbaum nella sua opera, senza anima e pensiero critico non può
esserci democrazia né, tantomeno, crescita economica. Anzi, proprio la
dicotomia che negli anni si è venuta a creare tra «istruzione per il profitto»
e «istruzione per la democrazia», non ha ragione di esistere.
Ma
cos’è veramente il progresso per una nazione? Per molti oggi la nozione di
progresso è strettamente connessa all’incremento del Prodotto Interno Lordo e
ciò a prescindere realmente dal livello di squilibrio e di diseguaglianza
sociale della nazione. Infatti, ci dice l’autrice, il problema del paradigma di
sviluppo basato sull’aumento del Pnl pro capite è che «trascura la distribuzione
e questo diventa allarmante per quei paesi che già sperimentano situazioni di
forte disparità»[p. 37].
È ovvio
che le materie umanistiche creano sapere critico e che in molte realtà – una
fra le tante Guajarat in India, dove i contadini poveri non hanno mai ricevuto
un’istruzione adeguata – si preferisce scoraggiare questo tipo di istruzione in
quanto ostacolerebbe pericolosamente la formazione di lavoratori obbedienti e
senza grosse pretese nè rivendicazioni di alcun genere.
La dicotomia tra formazione
per il profitto e formazione per la
democrazia è, del resto, lo specchio della società contemporanea scissa,
oggi più che mai, tra «persone preparate a vivere con gli altri in termini di
rispetto e reciprocità e persone che perseguono il beneficio della prevaricazione»
[p. 46].
Partendo dal principio che non può esistere
democrazia senza pensiero critico dei cittadini, la figura di Socrate, secondo
Nussbaum, acquista un rilievo importantissimo nell’educazione umanistica ma
viene anche ostacolata dal mondo del profitto e ciò proprio perché le persone
che sanno riflettere sono anche meno influenzabili. L’incapacità di ragionare
con la propria testa porta l’individuo a sottomettersi con una certa facilità
alle sirene del potere e dell’autorità in modo assolutamente acritico, per
quanto ciò che viene proposto possa essere abietto. Per Socrate non conta
affatto lo status dell’oratore bensì la qualità del suo ragionamento [p. 68].
Pertanto è ovvio che non esiste, nell’ambito della discussione, un dislivello:
tutti sono uguali al momento della discussione, indipendentemente dalla loro
appartenenza sociale.
È dunque indispensabile, alla luce di questo
ragionamento, impegnarsi in modo tale che quegli aspetti dell’istruzione che
servono a mantenere in vita la democrazia, possano essere rafforzati e
incentivati: lo studio della storia delle minoranze o degli immigrati ad
esempio, ma anche dei rapporti razziali, delle dinamiche di genere e delle
lotte di nuovi gruppi per il riconoscimento e la parità [p. 136] sembrano oggi
di un’attualità cocente, specialmente per far fronte ai conflitti sociali e
religiosi e ai problemi legati al terrorismo e alla sicurezza delle nostre
metropoli.
Per questa ragione non immune da critiche è, per la
Nussbaum, il sistema di valutazione basato sui test: secondo la studiosa,
infatti, «la riflessione critica e l’immaginazione simpatetica non sono
valutabili tramite esami a scelta multipla» [p. 146]. Purtroppo questo sistema,
molto diffuso negli Stati Uniti, è diventato molto comune anche nelle scuole
italiane con le odiose prove Invalsi.
Sappiamo perfettamente come i fondi destinati alla
ricerca umanistica e, più in generale, al patrimonio storico-culturale siano
sempre più esigui, eppure, per migliorare la situazione in cui versano le materie
umanistiche nel mondo, ci vorrebbe innanzitutto un «investimento umano» [p.
152]. Non servono soltanto i soldi perché si tratta innanzitutto di una
questione culturale. Un’educazione scolastica o universitaria senza alcun
riguardo per l’aspetto critico e l’esclusiva attenzione nei confronti delle
materie tecniche e scientifiche sono ciò che Tagore definiva un «suicidio
dell’anima» [p. 153]. Il vero dramma è che da questo suicidio nascono dittature
e genocidi che minacciano la vita stessa della democrazia.
Se le lettere e le arti non servono a produrre denaro,
sono imprescindibili invece a costruire un mondo «degno di essere vissuto» in
cui gli esseri umani hanno imparato a rispettarsi a prescindere dalle diversità
o, forse, proprio grazie a quelle diversità.
Consiglio la lettura di questo brillante saggio a
tutti e, specialmente, a quanti nel nostro Paese sono chiamati ad occuparsi di
educazione, istruzione e cultura in ambito istituzionale. Chissà che le loro
scelte non ne vengano positivamente condizionate.
Alessandra Mangano
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