Alessandro Musco, Muscodol, Palermo, Novantacento
edizioni, 2014, 95 pp. (I libri di S), ISBN 978-88-96499-46-7.
Senza
doverci spostare troppo indietro nel tempo, se questa raccolta fosse stata
pubblicata tre mesi fa, durante la sua lettura avrei di certo inviato un
messaggio al professore Musco con scritto: - Prof., sto leggendo la raccolta Muscodol e mi sto divertendo un sacco! - ; e lui sicuramente mi avrebbe
risposto con un: - Agostella! - è
così che mi chiamava, con il soprannome che devo a lui, per altro - Ammuccamu! – tipico suo intercalare, per
esprimere un compiacimento lieto e da condividere.
Questa
più che una recensione canonica, vuole essere un pretesto per scrivere un
ricordo di una persona che tanto ho ammirato, un buon amico, nonché un esempio
di rigore e precisione sul lavoro.
Il
volume Muscodol, pubblicato in questi
giorni dal gruppo editoriale Novantacento
ed allegato alla rivista «S», è la raccolta degli articoli scritti da
Alessandro Musco, nello spazio dedicato alla sua rubrica all’interno del
medesimo periodico e su LiveSicilia.it,
rubrica che curava da poco meno di due anni e bruscamente interrotta nel marzo
scorso, a causa della sua improvvisa scomparsa.
Gli
articoli rivelano uno spaccato realistico e crudo di quella sicilianità, che tanto amava, nella
consapevolezza delle innumerevoli falle che perdono acqua da ogni settore:
politica, lavoro, occupazione, forma
mentis.
Alessandro
Musco scrive con un gusto che definirei “auto-ironico”, da siciliano «radicato ed incarcato»
[p. 83], come si definiva lui stesso e come si definisce all’interno di uno
degli articoli contenuti nella raccolta.
Accostandosi al testo, il lettore non può che
sorridere di un riso amaro e malinconico sulle disgrazie più profonde della
Regione Siciliana, unica regione con
«l’aggettivo che fa la differenza» [p. 15], come viene spiegato in uno dei
contributi.
Un’ironia sferzante e pungente, che cede il passo a
sottili e celate parole ed intendimenti non detti, e nonostante ciò evidenti
alle menti più lucide ed attente. Un flusso di scrittura rapido, dai voli
pindarici e dalle argute associazioni mentali.
Musco era ciò che scriveva: schietto, diretto, mai
offensivo, ma allusivo, e per questo in grado di colpire e far ugualmente
sentire offeso chi si trovava ad essere dalla parte del torto; per ritrovare i
medesimi giri retorici e le uguali abili doti nell’arte della parola occorre
risalire fino ai retori dell’antichità classica, protagonisti indiscussi della
sua formazione personale, dei suoi studi e dei suoi interessi, che manteneva
vivi ed in continuo aggiornamento, non smettendo mai di apprendere, pur essendo
ormai un affermato docente di Storia della filosofia medievale presso
l’Università degli Studi di Palermo. Fino alla fine è stato anche Presidente e
anima dell’Officina di Studi Medievali.
Spesso, quando noi giovani collaboratori andavamo via
dall’Officina a tarda sera, lo trovavamo concentrato ed estraniato a scrivere
al suo pc, forse il suo prossimo articolo da pubblicare proprio su «S»;
notandoci sulla soglia della porta della sua stanza, interrompeva la scrittura
e ci salutava con il suo solito ampio sorriso, che partiva dagli occhi e si
espandeva fino a noi, mischiando qualche parola in siciliano, idioma a lui caro
e ricorrente anche negli articoli di questa raccolta.
Questo volume sarebbe stato per lui un gradito
omaggio, ancor più per la premessa in esso contenuta, redatta dal figlio
Alberto, il quale riporta la personale visione del padre, scevra da stereotipi
o da etichette accademiche, e semplicemente descritto come figura paterna.
È un volume che consiglio a tutti di leggere: a chi
non conosceva Musco per provare ad immaginare la straordinaria personalità di
quest’uomo; ai siciliani per riuscire a leggere con leggerezza e piacere alcuni
aspetti rognosi della Sicilia; ai non siciliani per capire che si può – e si
deve – sorridere di ciò che, in realtà,
ci penalizza e ci paralizza; e soprattutto lo consiglio a chi, come me, ha
conosciuto Alessandro Musco, per tentare di rivivere, per un’ultima volta
ancora, il particolare ed unico sapore che avevano le chiacchierate assieme a
lui.
Il professore poteva permettersi di criticare la
Sicilia ed i siciliani, perché sentiva viscerale e predominante la sua
appartenenza a questa terra Sicula,
ed è questo l’aspetto che predomina all’interno di ogni articolo della
raccolta.
Pagine intense e fitte di cronaca e di politica,
attualissime e ben comunicate al lettore.
Solo una volta il tono si sposta verso la formulazione
di un desiderio personale, all’interno dell’articolo dedicato idealmente alla
Befana, in vista della conclusione dell’anno. Musco dichiara il desiderio di
non volere ricevere per tutto il nuovo anno «sorprese di nessun tipo, misura o
dimensione e neppure novità impreviste» (p. 83) per sé e per la sua Sicilia; mentre,
invece, quasi facendosi beffa di questa piccola richiesta, il nuovo anno ha
portato l’imprevisto più inatteso e più definitivo che si potesse aspettare: il
nuovo anno ha portato via con sé il professore Musco.
Eppure credo che, se anche avesse saputo ciò che lo
attendeva dopo appena due mesi di questo 2014, avrebbe scritto esattamente le
stesse parole, così da farle citare o riportare postume da qualcuno, in suo
ricordo, come in un malinconico ed ironico scherzo teatrale, quasi da finale di
romanzo. Una teatralità senza maschera.
Professore, posso solo aggiungere che, purtroppo, la
sua richiesta personale non è stata rispettata, però le assicuro che il resto
del desiderio, quello riguardante la Sicula
terra, procede alla grande! Infatti non è ancora cambiato nulla, le buche
stradali sono ancora lì e della fila alle poste non possiamo che lamentarcene.
Confesso, infine, che mi mancherà domani non potere
commentare assieme al Prof. questa simpatica raccolta, magari davanti a un bello caffettino, come eravamo soliti
fare.
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