Marco Malvaldi, La carta più alta, Palermo, Sellerio,
2012, (La memoria; 875), 198 pp., ISBN 88-389-2608-5.
Un libro si compra perché è un must
di stagione e lo hanno letto tutti, e non puoi sfigurare con il tuo
parrucchiere. O perché piace la copertina, perché è scritto bene, perché ha una
bella trama, perché te lo raccomanda qualcuno, o perché…sì.
Questo libro non è (per ora) un obbligo sociale, però appartiene alla
collana ‘La memoria’ della Sellerio, con la grafica minimalista colorata che
piace sempre, e sta comunque bene sul tavolinetto fiancodivano. Motivazione
anche frivola, dite? Se non bastasse l’autore, Marco Malvaldi ha evidentemente
letto tanto – e bene! – di filosofia e letteratura, ma la sua scrittura chiara
e discorsiva è leggibile e godibile ‘a strati’, dal ragazzo al lettore
smaliziato. La citazione di striscio, la metafora palese, l’aggettivazione
talvolta colta alternata al linguaggio informale, ma mai pesante, creano il
piacere intellettivo anche della ‘caccia al tesoro’ e del rimando evocativo.
La trama è accattivante: nella provincia toscana, al tavolinetto sotto
l’olmo del classico baretto in centro, quattro arzilli vecchietti si riuniscono
quotidianamente a giocare, fumare, sparlare e bere con buona pace del barrista Massimo. Ed è con gli occhi di
quest’ultimo che viene raccontata, ironicamente e spietatamente, la
quotidianità cittadina: la vicina Gorgonoide («un comodino di un metro e
cinquantacinque con una ghigna da incrinare i vetri, che presumibilmente non
aveva mai salutato nessuno in vita sua: una cosa antropomorfa di aspetto
gretto», p. 13); la ex che ritorna («la mai troppo rimpianta banconista,
Tiziana dai capelli ramati e dalle puppe spettacolari», p. 12); i litigi degli
irriducibili vecchietti nonno Ampelio, il Rimediotti, il Del Tacca e Aldo («A
parte Aldo, tutti gli altri giovincelli hanno da tempo festeggiato il
‘doppiaggio’, ovvero il fatto di aver passato più anni in pensione che a
lavorare: una di quelle tradizioni italiche d’altri tempi che piano piano sono
destinate a sparire, nonostante l’aumento della durata della vita media», p.
23).
Loro sono stati già protagonisti delle opere precedenti di Malvaldi: La briscola in cinque (2007), Il gioco delle tre carte (2008), Il re dei giochi (2010), sempre per i
tipi di Sellerio. Anche qui, con battute, indiscrezioni e critiche corrosive,
sono loro la vera fonte di notizie che permettono a Massimo, immobilizzato in
ospedale, di ricreare e dipanare il mistero di un giallo che ha sconvolto la
pace della città. La tecnica ‘investigativa’ sarebbe la più classica, quella
deduttiva, britannica e razionale di Poirot e Holmes, se solo non fosse così
intrisa di italianità, e l’empatia scatta immediata.
Se ancora questo libro non ve lo ha consigliato nessuno, rimedio io: è
vivace, intelligente, spiritoso, mai becero né volgare. E se ancora volete
sapere perché leggerlo: perché sì.
Eloisia Tiziana Sparacino
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