Daniel
Pennac, Storia di un corpo, Milano,
Feltrinelli, 2012, 352 pp., ISBN 978-88-0701-921-0
Storia
di un corpo è – nella recita che Daniel Pennac ha imbastito con la complicità
del lettore – il diario non quotidiano che un uomo ha tenuto del proprio corpo
e lasciato post mortem alla figlia. Il
diario di un corpo e della sua fisicità – «non un diario intimo, figlia mia,
sai quante riserve ho sul resoconto dei nostri mutevoli stati d’animo» [p. 9] –
ma proprio una registrazione delle sensazioni che il nostro corpo trasmette
fisicamente. Inizialmente poco attratto da questo titolo, ho deciso di
acquistarlo per una rara (per me) forma di suggestione: entrato in libreria,
infatti, ho aperto questo tomo in offerta e, scegliendo a caso una pagina, mi
sono trovato di fronte il giorno della mia nascita. Incuriosito, l’ho letto e,
sebbene non sia una giornata memorabile per il protagonista, ho scelto di
acquistarlo e ora voglio recensirlo e consigliarlo a tutti perché nessuno perda
l’occasione di leggere queste pagine solo perché meno fortunato di me nel
trovarvi una data simbolica.
Con la
trovata del diario di un corpo altrui, Pennac imbastisce un racconto di ciò che
più ci accomuna: il nostro crescere, trasformarci e invecchiare (non so che
effetto farà a una donna ma per un uomo l’immedesimazione è fortissima, e
sarebbe bello se un giorno un’autrice donna, brava come Pennac, volesse
scrivere un libro speculare a questo). Vedere cambiare la nostra interfaccia
con il mondo, mutare le nostre sensazioni, scoprire i piaceri e le differenze
tra sé e gli altri, il dolore fisico di una perdita perché – e questo è per me
il grande segreto del libro – la dicotomia tra anima e corpo non esiste!
Raccontando una vita tramite le sensazioni corporee – dalle gioie infantili,
alla scoperta del sesso, alla malattia e alla vecchiaia – Pennac ci mostra come
tutti i nostri sentimenti e le sensazioni risiedano nel nostro fragile
contenitore, mettendo a nudo la vacuità della distinzione tra corpo e mente – o
corpo e anima se preferite – che vivono insieme in ogni pagina di questo
diario, che parla del corpo e, contemporaneamente, illustra i nostri
sentimenti, desideri, valori.
Molto
altro ci sarebbe da dire e non tacerò la trovata delle note alla figlia, che
rende il tempo del racconto più breve e fruibile, risparmiando ai lettori i
periodi di stasi della crescita corporea, o l’invenzione di Dodo, perfetto
esempio di come il nostro corpo altro non sia che un’estensione della nostra
mente che lo percepisce e di come la nostra mente d’altro non si nutra che di
ciò che dal nostro corpo le giunge.
Consiglio
questo libro a tutti, sia per godere della felice vena creativa di Pennac (un
piccolo gruppo di partigiani che sarebbe stato bene nel suo ciclo Malaussene ci
consola con un po’ di già visto) sia perché l’esperienza qui raccolta ne fa un
classico d’oggi, che sarà, credo, capace di parlare per generazioni agli
uomini. Un solo avvertimento, se temete di invecchiare o vi credete invincibili
ai mali del corpo non leggete questo libro, o vi scoverete i primi segni del
vostro essere “solo” umani.
Bartolo
Megna
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