Tommaso
Landolfi, Le due zittelle, a cura di Idolina Ladolfi, Milano, Adelphi, 1992,
114 pp. (Piccola Biblioteca Adelphi, 292), ISBN 978-88-4590-922-1.
Le due zittelle è un
racconto di Tommaso Landolfi – scrittore italiano nato a Pico, in provincia di
Frosinone, nel 1908 – comparso per la prima volta ad episodi tra le pagine del
quindicinale «Il Mondo», rivista fiorentina edita per i tipi di Vellecchi.
Il
testo era suddiviso in sei parti ed ha occupato i numeri dall’11 al 16, a
partire dal 1° settembre 1945 fino al 17 novembre dello stesso anno.
Lo
scritto mostra uno spaccato di vita vissuta tra le polverose vie di una piccola
provincia italiana, dove l’esistenza è scandita dall’osservazione rigida ed
intransigente di regole e precetti, da seguire un po’ per inclinazione
naturale, un po’ per compiacere il volere altrui, regole che spesso rischiano
di diventare catene pericolose, come in questo caso.
Lilla e
Nena sono le due pie zittelle, anch’esse grigie, come grigia e monotona è la
vita che conducono in casa, in compagnia dell’anziana madre malata, nel
perpetuo ricordo del fratello defunto ormai da tempo e presto sostituito – per
non dire rimpiazzato – dalla compagnia di Tombo, una vivace scimmia che ne ha
preso il posto quanto negli affetti, tanto nelle attenzioni morbose e
quotidiane delle tre donne, una sorta di riempitivo palliativo per colmare la
mancanza lasciata dal lutto.
La
monotonia abitudinaria è la loro serenità quotidiana, fino al giorno in cui non
accade un fatto che sconvolge per sempre l’ordine e gli schemi dei giorni
uguali ai giorni: la scimmia, né per dispetto, né per malafede, ma tacitamente
mossa da quella cosa che, mi si permetta, tutti chiamano semplicemente istinto animale, offende ed intacca la
sacra formula rituale che si conviene nelle Chiese, ossia macchia di blasfemia
il rito dell’Eucarestia, inscenando balletti e desinando cibi consacrati;
azione da giustificare e da riporre nel dimenticatoio quasi contemporaneamente,
se il buon senso ci consente di discernere il concetto che chi si è macchiato di tale onta, altro non è che un animale. Ma
così non avviene.
La
sacrilega viene presto giudicata da un impietoso tribunale, composto di due
uomini di fede: il giovane padre Alessio, spinto ad operare ancora secondo
teneri impeti di amore nei confronti del prossimo e di Dio, e monsignor
Tostini, anziano conservatore ed attento osservante delle regole
ecclesiastiche.
Accusato
e disprezzato, al reo è riservata la malaugurata sorte che lo conduce a subire
il gesto estremo del sacrificio, compiuto per mano di una delle amate sorelle, in cui riponeva affetto e
fiducia.
Tra
l’angoscia e le lacrime delle sorelle, fratricide e sofferenti, ma rispettose
dei precetti morali, si chiude lo scorcio sulla polverosa esistenza delle due
zittelle, ormai divenuta piatta nel nome di un empio sacrificio, nella stretta
osservazione di umane convenzioni. Un sacrificio invano, poiché al reo non era
dovuto conoscere, e meno che mai rispettare, i precetti cui è venuto meno.
Uno
spaccato provinciale di fine secolo, definito da Montale,
nel risvolto della prima edizione, uno dei «maggiori “incubi” psicologici e
morali della moderna letteratura europea».
Agostina
Passantino
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