Jolanda Buccella, Fortuna, il buco delle vite,
Maserà di Padova, Ciesse, 2012, pp. 592, ISBN libro 978 88 6660 0442.
Quando ho
ricevuto in regalo il romanzo di Jolanda Buccella, sono rimasta un tantino
turbata: 592 pagine scritte da un esordiente mi sono sembrate davvero tante. Ho
iniziato ad osservarlo con una certa freddezza, non mi piaceva nemmeno il
titolo, non capivo il nesso con l’immagine di copertina raffigurante una
bellissima donna immersa in una natura lussureggiante . Poi, invece, l’ho
aperto, ho cominciato a leggerlo e non sono più riuscita a fermarmi.
La
protagonista di questo romanzo - che impareremo anche a conoscere col
soprannome di Piccoletta la barbona e quello di Fortuna - è J.. Tre nomi
per tre vite totalmente diverse l’una dall’altra. Iniziamo a leggere di lei
quando è ancora una simpatica ragazzina con i capelli rossi e gli occhi verde
smeraldo, affetta da una grave malformazione alla colonna vertebrale: la spina
bifida – quel buco della vita - che influenzerà in modo negativo il legame fondamentale
tra la bambina e sua madre Anita, splendida ex ballerina costretta ad
abbandonare il sogno di danzare nei migliori teatri del mondo per accudire la
figlia. Un rapporto difficile, costellato dal visibile astio della madre per la
carriera irrimediabilmente compromessa e dalla sofferenza della piccola J.
sommersa dai sensi di colpa. Dolore smorzato parzialmente dall’amore di nonna
Umberta Prima Rizzutelli, una donna un po’ eccentrica ma dal cuore d’oro che
riesce a carpire tutte le migliori qualità della nipotina.
Dopo
un’adolescenza dilaniata da gravi disturbi alimentari, sorti in seguito alla
morte di Umberta, J. trova il coraggio di reagire: fugge dalla casa natìa e si
rifugia a Roma nella speranza di poter dare un taglio netto al passato. Nella
capitale troverà, però, una nuova e amara dose di sofferenza. Sola e senza
soldi si ritrova a vagare per le strade di una città fredda e ostile. Così J. –
spogliatasi della vita precedente e divenuta Piccoletta la barbona -
vivrà più di dieci anni, quasi senza accorgersene, lottando spietatamente per
la sopravvivenza. È quasi allo stremo delle forze quando finalmente arriva la
svolta: l’incontro improvviso e inaspettato con Nadir, affascinante medico
ruandese che, giorno dopo giorno, riuscirà a restituirle un posto dignitoso
nella società e a darle l’opportunità di conoscere il significato più autentico
della parola amore.
Una donna,
tre vite vissute con dolore, passione, angoscia e speranza che si svolgono in
un crocevia di luoghi: dall’Italia del piccolo paesino in provincia Salerno e
della splendida capitale al Ruanda dilaniato dal terribile genocidio dei tutsi,
avvenuto nell’aprile del 1994.
Tre
vite profondamente diverse l’una dall’altra che, come un complicato puzzle, si
ricompongono davanti agli occhi della donna - ormai condannata a morte in
un’anonima prigione ruandese - intenta ad afferrare i fantasmi del passato. Tra
lutti devastanti, abbandoni insopportabili e amori negati che l’hanno
trascinata nella disperazione più profonda, insegnandole comunque a rialzarsi
ogni volta con maggiore determinazione, questo romanzo - per certi versi crudo,
spietato, avvincente e capace di lasciare con il fiato sospeso - regala al
lettore una sfumatura di emozioni forti e inaspettate fino all’ultima pagina.
La giovane
autrice è riuscita nel difficile tentativo di scrivere una storia lunga ma mai
ripetitiva, toccando temi di forte impatto sociale come la disabilità e i
disturbi alimentari senza per questo correre il rischio di risultare retorica.
La sua
scrittura, semplice ma efficace, riesce a coinvolgere il lettore e a farlo
immedesimare nelle storie dei personaggi
raccontati sempre in modo geniale e con dovizia di particolari.
Marta
Lodetti
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