Chuck Palahniuk, Gang bang, Milano,
Mondadori, 2011, 208 pp., ISBN 978-88-04-59112-2.
Irriverente, scandaloso, crudo, politicamente
scorretto, immorale, sfacciato. Tutto questo è Chuck Palanhiuk, scrittore e
giornalista statunitense, autore di una serie di romanzi di grande fortuna
come, tra gli altri, Fight Club (1996), Soffocare (2001) e Cavie
(2005).
Gang bang, pubblicato per la prima volta nel 2008, racconta la storia
della leggendaria, nonché attempata, pornostar Cassie Wright e della sua
colossale impresa, con la quale vuole concludere la sua più che decennale
carriera: una enorme gang bang (pratica sessuale in cui un soggetto, di sesso
maschile o femminile, svolge attività sessuali con una moltitudine di partner, ndr)
che ha lo scopo di polverizzare il precedente record mondiale. Ripresa dalle
telecamere, l’attrice ha infatti come obiettivo di fornicare con 600 uomini. Il
filtro attraverso cui tutto è raccontato è quello di quattro personaggi: N. 72,
uno studente, che sostiene di essere il figlio legittimo di Cassie; N. 137,
vecchio attore, caduto nel dimenticatoio, che ricerca disperatamente una
seconda chance per il rilancio televisivo; N. 600, noto come Branch Bacardi,
attore veterano dell’industria pornografica; Sheila, l’assistente tuttofare di
Cassie.
La narrazione degli eventi è resa ancora più
interessante da alcuni colpi di scena: in primis, Cassie vorrebbe morire
durante le riprese del film, cosa che renderebbe lei stessa immortale nel tempo
e la pellicola un cult mondiale. Leggendo si scopre inoltre che la
Wright, durante le riprese del suo primo film concepì un figlio, subito dopo
abbandonato: a questo figlio lei adesso vuole donare gli introiti del
lungometraggio che sta girando. Ma chi sarà questo figlio? Sarà uno dei quattro
protagonisti?
Gang bang è molto divertente, ma non si sente la forza di altri lavori
precedenti di Palahniuk. La frammentarietà della narrazione non sempre dà i
frutti sperati, soprattutto nel momento in cui le voci dei personaggi si
incanalano verso il finale comune, e non riesci a capire se durante lo
svolgimento hai perso qualche particolare importante. A tratti questo romanzo
sembra nient’altro che una raccolta di racconti a luci rosse, e non è sostenuto
da una concreta visione distorta del mondo, dominato da ingiustizia e
prepotenza, come invece accade in Fight Club.
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