Sudhir Kakar, Il trono cremisi, Vicenza, Neri Pozza, 2010, 318 pp. (Le Tavole D'Oro), ISBN 978-88-545-0482-0.
Il libro racconta gli ultimi anni del regno di Shah
Jahan, imperatore Mogul, e la guerra fratricida per la conquista del trono; la
vittoria di Aurangzeb su Dara, il Wali Ahad (l'erede al trono). Questa
però è soltanto la storia dell'India del XVII secolo.
Il romanzo racconta questa vicenda attraverso gli
occhi di due "medici" europei, Niccolò Manucci (un veneziano) e
François Bernier (un francese discepolo del filosofo Gassendi), entrambi
entrati a far parte della corte dei Mogul. Agli occhi dei due narratori l'India
si presenta con tutte le sue stranezze, con tutte le sue differenze e bizzarie,
con tutte le sue contraddizioni. Emergono infatti nelle pagine narrate, le
descrizioni dei luoghi, molto attente puntuali, e anche una descrizione delle
genti che i due europei incontrano. Nulla sfugge ai due osservatori e, infatti,
mirabili e affascinanti sono le immagini che essi riescono a dare di quel mondo
lontano, in cui convivono indù, musulmani e sciiti. La tolleranza religiosa di
Dara si scontra con il fanatismo religioso di Aurangzeb. La guerra che si
scatena fra i fratelli racconta una storia di tradimenti, di vendette e di una
rassegnazione al fato: «Gli astri possono anche rivelarsi crudeli, soprattutto
se il loro fuoco ha cominciato a spegnersi» (p. 245).
Nel romanzo storico si assiste anche alle diverse
opinioni che ognuno dei due narratori si fa della situazione politica in India.
Niccolò Manucci piange sei mesi per la disfatta di Dara e la vittoria di
Aurangzeb, e la sorte che da tale vittoria toccherà agli indù perseguitati dal
fanatismo religioso. François Bernier non può che lodare le doti machiavelliche
del vincitore (anche se sarebbe più giusto parlare di Arthasastra,
capolavoro dell'arte di governo anteriore al Principe), deprecando
l'incapacità e la mollezza di Dara.
Il trono cremisi è però anche la storia di voluttà, di gelosie, di
amori, di spezie e di colori. Le cronache dei due narratori europei sono anche
un tentativo antropologico di comprensione dell'altro-da-sé. Questo dato
risulta interessante dal fatto che, l'India descritta dagli occhi dei due
viaggiatori europei, è a sua volta filtrata e narrata dall'autore Sudhir Kakar,
uno dei più noti scrittori e psicanalisti indiani. L'autore si serve, infatti
delle opere redatte dai due cronachisti, le quali sono puntualmente riportate
in un'appendice bibliografica.
Mi piace citare questo brano dell'opera, perché mi ha
profondamente colpito e reso la bellezza di un mondo lontano:
«Rifugiamoci nei piaceri della filosofia mentre
intorno a noi infuriano i conflitti, Bernier» mi disse con un sorriso che non
riusciva a dissimulare la tensione degli ultimi quattro mesi. «Rimarremo qui a
Delhi anziché raggiungere la corte ad Agra. E voi mi svelerete i misteri del
pensiero di Cartesio, e soprattutto la quarta parte del suo Discorso sul
metodo. Ancora non capisco perché la frase: ‘Penso, dunque sono’ sia il
principio fondamentale della sua filosofia, né per quale motivo egli la
definisca una verità ‘così ferma e sicura, che tutte le supposizioni più
stravaganti degli scettici non avrebbero potuto smuoverla’. A me sembra la
dichiarazione di fede di un credente, e non la conclusione ragionata di un
filosofo» (p. 243).
L'edizione della Neri Pozza di Vicenza è corredata
inoltre di un glossario in cui è riportato il significato delle parole indiane
che ricorrono nel testo, un modo molto utile per far conoscere la cultura
indiana di quel periodo (infatti nel glossario sono indicati i nomi degli
indumenti tipici, il gergo di corte, le piante, i cibi, ecc.).
Piacevole, pregevole e utile lettura: lo consiglio.
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