Giovanni
Falcone, Cose di Cosa Nostra, in collaborazione con Marcelle Padovani,
Milano, BUR, 2007, 177 p., ISBN
978-88-17-00233-2.
Che cos’è la
mafia? Una domanda apparentemente semplice, a cui Giovanni Falcone dà risposte
semplici, immerse in un ragionamento molto più complesso. Varcando i confini di
scienze come la psicologia e l’antropologia di cui il fenomeno mafioso, per il
giudice palermitano, è profondamente impregnato, si fondono insieme una visione
della realtà e dell’uomo stesso.
Il racconto
delle “guerre di mafia”, il rapporto con i pentiti (tra i più importanti,
Buscetta, Contorno, Mannoia e Calderone), la mattanza dei Corleonesi sono solo
alcuni degli argomenti toccati da Giovanni Falcone che focalizza anche
l’importanza, non indifferente, di una cultura mafiosa che fatica a scomparire:
“l’interpretazione dei segni, dei gesti, dei messaggi e dei silenzi” (p. 49).
Falcone non teme di sviscerare i minimi dettagli di questo Stato-altro, che
nella sua Sicilia gli pare allungarsi come una nuvola piena di cattivi presagi
in tutte le direzioni: dal mondo dell’agricoltura a quello dell’economia, della
finanza e della politica.
«Per quanto
possa sembrare strano, la mafia mi ha impartito una lezione di moralità» (pp.
70-71), scrive Falcone in un passaggio del libro, tentando di descrivere il suo
(complesso) rapporto con quello che non esita a chiamare, per primo e senza
mezze misure, lo «Stato-mafia» (p. 71). Uno Stato “parallelo” a quello
rappresentato dalle istituzioni. Ma i cui meccanismi arrivano spesso a
sopperire le carenze di uno Stato distratto e burocratico, fino a rimpiazzarlo
in tutte le sue funzioni e i suoi punti vitali: l’assistenza ai cittadini, il
deficit di istruzione, la mancanza di lavoro e di prospettive per i giovani. Un
vuoto di Stato, a partire dalla progettualità di vita di ciascuno, che i mezzi
a disposizione della mafia (oltre alla sua forte capacità attrattiva, per la
combinazione di terrore e potere di cui dispone) non faticano a colmare. Tanto
che, per il magistrato, la mafia «a pensarci bene, non è altro che espressione
di un bisogno di ordine e quindi di Stato» (p. 71).
Questo libro
è il risultato di venti interviste effettuate da Marcello Padovani a Giovanni
Falcone tra il marzo e il giugno del 1991. A differenza dell’edizione di
quell’anno, questa pubblicazione del 2007 contiene due capitoli, scritti dalla
giornalista francese, che precedono le parole di Falcone: Dodici anni dopo pp. 3-7 e Prologo
alla prima edizione 1991 pp.
9-19. Il racconto del giudice è quindi articolato in sei capitoli «disposti
come… cerchi concentrici attorno al cuore del problema-mafia: lo Stato»: Violenze pp. 21-45; Messaggi e messaggeri pp. 47-71; Contiguità pp. 73-92; Cosa
Nostra pp. 95-121; Profitti e perdite
pp. 123-145; Potere e poteri pp.
147-171.
Biagio
Bertino
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