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martedì 5 febbraio 2013

La rivoluzione dei gelsomini. Il risveglio della dignità araba



Tahar Ben Jelloun, La rivoluzione dei gelsomini. Il risveglio della dignità araba, Milano, Bompiani, 2011, 140 p., ISBN 978-88-452-6774-1.

Che fine ha fatto la primavera araba? Quello straordinario movimento di ribellione spontanea è davvero riuscito a liberare le popolazioni che hanno deciso di porre fine alle vessazioni e alla dittatura? È questa la domanda cui cerca di dare risposta Tahar Ben Jelloun in questo libro. L’analisi iniziale è di assoluta condanna nei confronti dei dirigenti arabi. Tunisia, Marocco, Yemen, Algeria, Egitto, Libia: Stati diversi, accomunati da politici che hanno confuso il paese con casa loro, e disposto dei beni e dei cittadini come se fossero proprietà privata.
Repressioni, arresti indiscriminati, torture, servizi segreti. Non è un mistero che Mubarak, Ben Ali, Gheddafi non brillassero per rispetto della democrazia e dei diritti umani. Eppure l’Europa, in più occasioni, ha deciso di chiudere entrambi gli occhi perché è preferibile il silenzio assenso a tutela degli accordi economici e dei grossi affari che potevano garantirle i capi di stato arabi. Per fare un solo esempio, l’Italia è il secondo partner commerciale della Tunisia dopo la Francia e il terzo investitore straniero: l’ENI investe in Tunisia. Ufficialmente però la giustificazione dei ministri degli esteri di molti paesi europei è che questi governi servono a scongiurare il pericolo di una repubblica islamica stile Iran.
Ma davvero  l’unica alternativa possibile è la scelta tra dittatura e integralismo islamico?
Sebbene Ben Jelloun sia scettico riguardo all’ipotesi di un ritorno al potere degli integralisti, i fatti recenti purtroppo ci dicono il contrario. Basti guardare a cosa è accaduto in Egitto dopo le rivolte e il trionfo dei Fratelli Musulmani, o a ciò che sta accadendo in Libia, dopo l’eliminazione del colonnello Gheddafi e della sua famiglia, oppure all’Algeria dove sono ancora brucianti le ferite per la strage di In Amenas. L’Egitto, un tempo «faro della cultura e della civiltà araba» [p.21], si è trasformato in un paese spaccato dove, appena un mese fa, il 64% della popolazione – pur tra mille proteste e denunce di brogli – ha votato un referendum che introduce una costituzione filoislamista.
È vero che quelle rivoluzioni – che l’autore definisce «una poesia che sgorga dal cuore di un poeta che scrive sotto dettatura della vita, che si ribella e vuole giorni migliori» [p. 15] – sono state determinanti poiché sono riuscite a rovesciare regimi oppressivi; ma è altrettanto vero che non sono state affatto risolutive per i problemi reali dei paesi in cui si sono verificate. Non si tratta di sposare tesi complottistiche riguardo ai rivoluzionari, o di chiedersi provocatoriamente chi li ha armati e a che scopo. Si tratta di registrare un fatto indiscutibile (in quei paesi è scoppiata la guerra civile) e di chiedersi il perché sia accaduto.
Il testo non si occupa, se non marginalmente, di questioni cruciali per tutto il mondo arabo: la soluzione dell’annoso conflitto israelo-palestinese in primo luogo; i rapporti tra Stati Uniti e Israele e i condizionamenti che questi rapporti determinano nelle relazioni tra occidente e mondo arabo.
Il libro ci racconta la tendenza da parte dei popoli arabi a sviluppare il bisogno di un «padre carismatico e autoritario, unificatore e onnipresente» [p. 90] ma anche la propensione alla frammentazione dei vari paesi arabi che tanto ricorda – seppur per aspetti diversi – quella dei popoli europei. Peccato però che tutto venga soltanto citato e mai approfondito.
Il testo comunque potrebbe essere utile a quanti necessitassero di un quadro generale relativo alla situazione di Egitto, Tunisia e Libia prima delle rivoluzioni del 2010-2011.
                                                    
Alessandra Mangano

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