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martedì 5 febbraio 2013

L’ultima estate di Catullo



Alessandro Banda, L’ultima estate di Catullo. Romanzo, Parma, Guanda, 2012, 195 pp., ISBN 978-88-6088-156-4.

Alessandro Banda, docente di scienze umane a Merano, appassionato di classici greci e latini, è l’autore di questo romanzo, che non vuole essere una ricostruzione storica dettagliata della vita di Catullo, bensì una descrizione di quello che sarebbe potuto essere il suo mondo interiore, i suoi sogni, i suoi desideri e le sue preoccupazioni; descrizione assolutamente condivisibile, che ben descrive la visione introspettiva di un poeta - di un uomo - che aldilà del romanticismo e del cinismo nei confronti dell’amore disilluso, tanto declamati nei libri di letteratura latina, mostra il suo lato triste, riflessivo, solo, infelice: tutte sensazioni ben deducibili dalla lettura del suo Carmi, ma mai troppo approfonditi dai testi scolastici.
Banda riesce a rendere tali impressioni senza però incappare nell’infelice ed anacronistico errore di rendere il personaggio-poeta troppo contemporaneo e attuale nel modo di esprimersi, o di parlare, o di osservare.
Anche gli “orrori” cronologici sono scongiurati, poiché si parte sempre da un dato certo, veritiero, accertato, dal quale tesse poi, come un esperto narratore epico, dialoghi e intrecci.
Gaio Valerio Catullo è nato a Verona nell’84 a. C. circa e si traferisce a Roma intorno al 61-60 a. C. È il primo poeta d’amore latino di cui si ha testimonianza, è il primo che ha descritto l’Amore come doppia coesistenza di due sentimenti opposti, nel suo carme 85, il cui incipit è odio et amo, che bene spiega la sofferenza dell’Amore.
La “memoria”, il “ricordo”, presentato sin dall’inizio con la metafora delle onde che il poeta osserva dalla villa paterna, sono il leitmotiv dell’intera narrazione.
La villa paterna, dove spesso si rifugia, è presentato come un luogo dall’atmosfera e dal tempo indefiniti, che culla il giovane Catullo e lo allontana dalle sue pene, e lo conduce in un percorso propedeutico per la sua psiche fino a ripercorre le tappe della sua vita.
Molte sono le allusioni a fatti storici, come il varco del Rubicone [p. 23], così come le citazioni e gli spunti letterari; si veda, ad esempio, la riformulazione della poesia della poetessa di Lesbo alle pp. 40-41, che nella realtà ispirò Catullo per suo breve carme, il 51. Sempre di gusto saffico sono le righe che richiamano chiaramente l’Inno ad Afrodite [pp. 50-51], nelle quali si fa allusione ad un «trono variegato» ed a un amore che se «fugge, ti inseguirà; se non accetta regali, presto ti sommergerà lei, di regali. Se non ama, amerà, benché non voglia».
Tra le pagine del romanzo trova posto anche la sollecita messaggera Nape, l’ornatrix di Ovidio, qui descritta come ancella dall’indole superiore rispetto alle sue pari.
Diverse pagine sono dedicate all’abbondante Cena di Trimalcione, con descrizioni tratte fedelmente dal Satyricon di Petronio.
Si fa anche menzione di Abrasax, quando si ricorre, come ultimo rimedio per un Amore disperato, ai filtri d’Amore, anche questi di chiara eco classica.
Il resto del romanzo è pregno della duplice sensazione che solo un vero Amore può provocare, l’odio e l’amore, il volere possedere e il respingere fino a desiderare la propria morte, pensata come ultimo e unico atto dell’eterno possesso, l’odi et amo catulliano, per l’appunto.
È Clodia-Lesbia, sorella di Clodio, e moglie del proconsole Quinto Cecilio Metello Celere l’oggetto dei suoi peggiori patimenti e delle sue più alte gioie. Il personaggio di Lesbia è descritto egregiamente, i suoi gesti ed i suoi occhi ammiccanti sono descritti con meticolosa cura, tale da essere resi quasi visibili agli occhi del lettore, che solo in questo modo è in grado di comprendere la patologia e la dipendenza di Catullo nei confronti di questa donna.
Amore struggente, Amore a tratti malsano e malato, che spinge il poeta ad andare via da Verona, via da Roma, fino all'assolata Bitinia, sulle rive di un mare lontano.
Il romanzo termina appunto in Bitinia, dove incontra Fotide, giovane e vivace prostituta, che lo inizia ai misteri religiosi, e che, contrariamente da quanto è testimoniato dalle fonti, lo distoglie dal male d’amore causato dal suo eterno sentimento.
Un romanzo che stimola il lettore, che lo porta alla continua ricerca dei collegamenti e delle citazioni; volume compreso ed apprezzato certamente da chi “ama” i poeti del passato e che li conosce tanto da discernerne e riconoscerne passi e rimandi, senza correre nel blando errore di scambiarli per farina del sacco dell’autore; un romanzo dai sapori esotici e lontani, che porta ad immaginare luoghi sconosciuti e persi nel tempo.
La struttura narrativa è ad anello.
Unica pecca è la mancanza di un apparato di note a fine volume, che sarebbe potuto essere un chiaro supporto alla lettura, soprattutto per le molteplici citazioni presenti nel testo.
Banda ha inoltre pubblicato nel 2001 Dolcezze del rancore per Einaudi, nel 2012 Due mondi e io vengo dall'altro per Laterza; nel 2003 La verità sul caso Caffa, nel 2005 La città dove le donne dicono di no, nel 2006 Scusi, prof, ho sbagliato romanzo, nel 2010 Come imparare a essere niente, tutti per Guanda.

Agostina Passantino

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