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mercoledì 5 marzo 2014

Franco Venturi: Uno sguardo alle biblioteche e agli archivi italiani negli anni Sessanta (a cura di Piero Canale)

Franco Venturi: Uno sguardo alle biblioteche e agli archivi italiani negli anni Sessanta (a cura di Piero Canale).

Franco Venturi (1914-1994) storico e profondo conoscitore della cultura e della politica del Settecento, riporta nella prefazione al primo volume di una delle sue più importanti opere, Settecento riformatore, una riflessione attenta sullo stato delle biblioteche e degli archivi in Italia. Era il 1968, l'Italia cresceva economicamente e si poteva a pieno diritto riflettere sul rilancio della cultura italiana.
Oggi le parole di Venturi appaiono ancora troppo attuali, troppo vere. Spesso si fanno appelli – di recente un gruppo di ricercatori e docenti dell'Università di Palermo ne ha rivolto uno alle istituzioni siciliane e palermitane affinché si intervenga sullo stato della Biblioteca Comunale di Palermo e della Regionale siciliana – che, quasi sempre, rimangono inascoltati o giacciono nell'indifferenza della società civile.
Sarebbe interessante conoscere più in dettaglio la reazione alla denuncia di Franco Venturi e se da essa si sia sviluppato un dibattito. Riportiamo, tuttavia, le parole dello storico per farle nostre:

[...] ho vissuto troppo tempo in compagnia di uomini come Genovesi o come Verri per credere, sia pure un istante, che una impostazione teorica, anche giusta, risolva un problema di ricerca storica. Anche nel mondo di Clio è necessario considerar da vicino quel che accade quando si vuol passare dalle parole alle cose. Gli ostacoli che si frappongono alla ricerca non sono soltanto teorici ma pratici. Quelli che trova di fronte chi studia, ad esempio, il Settecento sono di natura ben concreta: le nostre biblioteche, i nostri archivi, i nostri centri e strumenti di lavoro. L'Italia è, ne sono convinto e lo ripeto, uno dei paesi d'Europa dove più larga e approfondita è stata la riflessione, la discussione che accompagna ogni movimento intellettuale e politico. Ma l'Italia è anche uno dei paesi in cui è più difficile e faticoso giungere a contatto con i testi e i documenti in cui questi dibattiti hanno lasciato le loro tracce. Siamo l'unico paese civile a non possedere una biblioteca nazionale, una biblioteca, intendo, in cui ci si possa ragionevolmente attendere di trovare qualsiasi libro e foglio apparso in ogni angolo del proprio paese, dall'invenzione della stampa ad oggi. Le nostre biblioteche, anche quando si chiamano nazionali, riflettono tuttora la secolare suddivisione degli stati e staterelli italiani, ai quali si è sovrapposta una stratificazione unitaria, che ha cento anni soltanto e che non ha modificato nel fondo le ripartizioni regionali anteriori. Difficile trovare una gazzetta palermitana settecentesca a Firenze (del resto, in certi casi, non la troveremo neanche a Palermo), o un foglio di Pesaro a Torino, o un pamphlet napoletano a Milano e così seguitando. E pensare che con i mezzi posti a disposizione dalla tecnica moderna e con un po' di buona volontà da parte delle biblioteche degli antichi stati italiani non sarebbe poi troppo difficile costruire, poniamo a Roma, una biblioteca in cui si trovino tutti gli stampati italiani, in originale o in riproduzione. Ma anche se la ricerca è locale (l'importante, nella storia del movimento riformatore, è uscire dalla dimensione locale e seguire un filo che trapassi le vecchie frontiere), anche se si cercano a Milano cose milanesi e a Napoli cose napoletane, gli ostacoli, le difficoltà, le impossibilità sono innumeri, e sormontabili soltanto con un dispendio grande di energia e di pazienza. Inutile specificare: tutti conosciamo gli orari, i cataloghi delle nostre biblioteche. Quanto ai nostri archivi essi sono, salvo eccezioni, tra i meno inventariati d'Europa. La possibilità pratica di consultarli varia straordinariamente da città a città, quasi che essi vogliano conservare ancora, almeno in un angolo polveroso, quella pittoresca varietà che colpiva l'occhio d'ogni viaggiatore nell'Italia dell'antico regime. Né, inoltre, i regolamenti unitari che si sono sovrapposti all'originaria diversità facilitano generalmente la consultazione di quelle antiche carte. Quanto poi agli archivi privati, salvo, anche qui, belle eccezioni, basterebbe fare il paragone con quello che è stato fatto e si fa in Inghilterra per accorgersi che grandi sono ancora le distanze che ci dividono da una situazione soddisfacente e normale. Ogni volta, in conclusione, che si esce da una nostra biblioteca o da un nostro archivio nasce spontanea la considerazione che l'Italia è un paese così ricco di documenti storici da non aver neppur bisogno di misurare, ordinare, catalogare tanta dovizia. Evidentemente tra noi le terre di Clio rendono benissimo anche a cultura estensiva e non val la pena di irrigarle e di riorganizzarle. Ma i frutti storiografici son poi quelli che possono essere ed è inutile che cerchiamo di paragonarli per quantità e qualità a quelli che nascono in quegli angoli del mondo in cui sono state adottate tecniche intensive. E, disgraziatamente, gli amici agricoltori ci insegnano che le culture estensive tradizionali rischiano molto di rovinare il terreno. Fuori di metafora, biblioteche ed archivi come ne esistono da noi, sono talvolta di altrettanto difficile accesso quanto la biblioteca di Babilonia di Borges e sono insieme depositi nei quali le tracce del passato possono più facilmente obliterarsi, rovinarsi e scomparire.

Non ignoro, naturalmente, che queste nostre biblioteche e questi nostri archivi sono, generalmente, degli strumenti inadeguati, ma affidati alle mani di persone di gran buona volontà, le quali sanno, quasi sempre, spingere la cortesia e la competenza loro fino al punto di creare attorno agli studiosi un'atmosfera di eccezione, che permette di superare gli ostacoli e di lavorare fruttuosamente. Come la monarchia merovingia era un despotismo corretto dal regicidio, così i nostri strumenti di lavoro costituiscono troppo spesso degli ostacoli corretti dal privilegio. Il rituale e più che dovuto ringraziamento che desidero qui rivolgere, in tutta sincerità, a coloro che mi hanno aiutato nelle mie ricerche è accompagnato così dall'augurio che nella mani dei bibliotecari e degli archivisti nostri vengano finalmente posti mezzi e strumenti che permettan di rendere accessibili a tutti, con ben diversi orari e con strutture organizzative completamente trasformate, i luoghi dove si conservano le testimonianze delle idee, delle lotte e delle speranze delle generazioni passate [F. Venturi, Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria, Torino, Giulio Einaudi editore, 1968, pp. XVI-XVIII].

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