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mercoledì 5 marzo 2014

Cattedrale

Raymond Carver, Cattedrale, Torino, Einaudi, 2011, 229 pp., ISBN 978-88-06-19785-8.

La Einaudi ha deciso di ripubblicare le opere di Raymond Carver, scomparso a cinquant’anni nel 1988; questa raccolta di dodici racconti brevi, uscita originariamente nel 1983, è stata sempre considerata – anche dallo stesso autore – la summa del suo stile.
Premetto che ho sempre apprezzato, di per sé, la formula dei racconti, brevi narrazioni autoconcluse, che difficilmente perdono mordente e ispirazione in lungaggini. Non sono più ‘facili’ da comporre, perché devono riuscire significanti in breve spazio e necessitano di talento. I temi qui affrontati, seri e impegnativi, sono quelli del disagio, della incomunicabilità e fragilità umana. Sono le storie che potrebbero stare dietro ai quadri di Hopper, in cui non c’è catarsi o consolazione ma storie crude nella loro quotidianità. Però se nei quadri di Hopper è padrone il silenzio, in queste storie c’è sotteso lo stridio di fondo di una continua macerazione interna.
Non è un libro facile da leggere: è scritto molto bene e risucchia il lettore nella narrazione, ma è sconsigliabile per chi non è sereno. Vitamine è, ad esempio, la storia di un adulterio mancato, nell’indifferenza assoluta degli stessi protagonisti, che affogano nel whiskey la loro desolazione. Il treno narra di solitudini diverse che possono sfiorarsi fin quasi a collidere, quasi a volersi spiegare a vicenda, per poi procedere parallele senza mai toccarsi. Ma ancora intervengono i disturbi psicologici di un reduce dal Vietnam, la minaccia della disoccupazione e dello sfratto, il dolore immane di un lutto, le normali atrocità della vita: atemporali, immotivate, banali. Cattedrale, il racconto che intitola e chiude la raccolta, è invece uno spiraglio in cui si mostra una possibilità di contatto. È la storia dell’incontro di un uomo con l’amico di sua moglie, ospite per una notte in casa loro. La coppia resterà anonima e inqualificata per tutto il racconto ("mio marito", "cara", "caro", "lei"…): «Ho aspettato invano di sentire il mio nome pronunciato dalle dolci labbra di mia moglie: ‘E poi è entrato in scena il mio caro maritino ...’ o qualcosa del genere. Ma niente da fare. Si è parlato sempre di Robert» [p. 216].  Solo dell’ospite dunque si sa il nome, il lavoro, l’aspetto fisico, ma anche che è vedovo, simpatico e soprattutto cieco. Questa menomazione mette in imbarazzo il protagonista, prevenuto e confuso con il diverso, con cui non sa come relazionarsi. Ma è Robert a sciogliere il ghiaccio: con la sua immediatezza, trasforma una semplice conversazione disimpegnata in un contatto vero, quando chiede al suo ospite di descrivergli una cattedrale gotica. Le parole non sono sufficienti, e allora il cieco chiede all’amico che gli disegni la cattedrale su carta, mentre lui gli tiene la mano: dal semplice contatto fisico, nasce incredibilmente una coinvolgente trasmissione empatica che induce fiducia, comunicazione, allegria. Carver sa davvero come coinvolgere il lettore.


Eloisia Tiziana Sparacino

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