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mercoledì 5 marzo 2014

Gli sdraiati

Michele Serra, Gli sdraiati, Milano, Feltrinelli, 2013, 108 pp., ISBN 978-88-07-01834-3.

Esistono i libri che ti fanno piangere. Quelli che ti fanno ridere. Quelli tristi e quelli allegri. Quelli di pura fantasia. Quelli che ti raccontano la cruda realtà. Esistono i libri di guerra. I libri che narrano una storia d’amore. E ancora, quelli che ti lasciano a bocca aperta e quelli che ti lasciano, a tratti, perplesso. Questo libro di Michele Serra, giornalista e scrittore classe ’54, racchiude tutte le caratteristiche prima enumerate.
Gli sdraiati è il nome che Serra usa per identificare la nuova generazione, quella dei nativi digitali, dei sedicenni degli anni ’10 del 2000, che trovano nel divano il loro habitat ideale e nell’orizzontalità “rilassata” la loro posizione preferita. Gli occhi da cui tutto ciò viene osservato sono quelli di un padre che tenta in tutti i modi di essere autoritario, ma si rende conto che questa autorità sarebbe una totale simulazione; capisce, nel corso della narrazione, che non è nella sua indole, che non fa per lui: arriva addirittura ad autodefinirsi “relativista etico”, “dopopadre”.
Ma chi sono queste creature mitologiche? Questi esseri che si aggirano per la casa e le cui azioni non trovano la rituale e culturalmente accettata conclusione circolare? La loro abitazione sarà piena di cassetti e di ante di armadi aperti, migliaia di calzini sparsi ovunque, il lavello pieno di piatti sporchi, i posacenere ricolmi di cicche di sigarette, i vestiti buttati ovunque, «sputi di dentifricio nel lavandino e righe di merda nel water» [p. 87].
Esilaranti le pagine in cui si dipinge la figura del figlio disteso sul divano, trangugiante qualcosa, con tv accesa, cuffie collegate a un iPod nascosto non si sa dove, cellulare nella mano destra, computer sulle gambe, e nella mano sinistra un lembo di una pagina di un libro di chimica: il padre resta attonito, ma allo stesso tempo estasiato alla vista, tanto che non riesce a staccare gli occhi da questa immagine “sovrumana”. Il figlio non aspetta la domanda ma, allo stupore del padre, risponde: «E’ l’evoluzione della specie» [p. 51].
L’adulto si rende quindi conto che la stranezza, la particolarità, la a-normalità sta negli occhi di chi guarda: tutto ciò, questo comportamento, non è né giusto né sbagliato. Semplicemente «prima non si era mai visto» [p. 47].
A separare un capitolo dall’altro degli incisi, a tratti nervosi, a tratti allegri, a tratti collerici del padre nei confronti del figlio, tutti con lo stesso tema: la passeggiata verso il Colle della Nasca. Questo percorso naturalistico è quasi un’ossessione per il genitore, che non comprende la reticenza dell’erede ad addentrarsi in questo viaggio fantastico e stupefacente nei meandri di madre natura.
Il romanzo risulta intenso e carico di significati: ogni frase, ogni espressione, ogni costrutto appare ben calibrato e qualsivoglia parola non sembra essere lì per caso.

Vincenzo Bagnera





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