Michele
D’Ignazio, Storia di una Matita, Milano, Rizzoli, 2012, 120 pp., ISBN 978-8817055659.
L’idea
alla base di Storia di una Matita
nasce da un gioco di parole: «Vorrei avere la vita temperata come una matita».
Una frase isolata, un’intuizione non sviluppata, ma è stata come una molla.
Perché non scrivere la storia di una matita? Lapo, il protagonista principale,
da quando era bambino ha un grande sogno: diventare un illustratore. Ci spera
talmente tanto che una mattina, in maniera rocambolesca, il suo corpo si
trasforma in una gigantesca matita: «Fu il mignolo della sua mano sinistra a
dirigersi verso la narice destra. Gira e rigira, scava e riscava, a un certo
punto, Lapo sentì un odore. Era l’odore delle sue matite. “Ah! Fantastico”,
sussurrò» [p. 18].
Pochi
secondi dopo, Lapo si accorge che al posto del suo dito mignolo c’è una matita
gialla bellissima e ben temperata. Qualche ora dopo, la trasformazione è
completa. La sua testa è diventata una gigantesca punta di grafite e anziché
pettinarsi deve temperarsi.
Non ha
una faccia e per uscir di casa ha bisogno di un viso con degli occhi, delle
orecchie, una bocca... una faccia per ogni circostanza, per ogni emozione: ne
disegna più di un centinaio e ben presto si rende conto che non bastano.
E come
si muove? Non avendo due gambe, non può più camminare. Però scivola, lasciando
punti, linee, segni che infine diventano disegni, disegni bellissimi.
Storia
di una matita è un racconto sulla capacità di sognare, ma anche sulle
controindicazioni che il sognare porta con sé. Racconta inoltre la scoperta di
un talento, ma la necessità di capire anche come poterlo utilizzare. È un
cammino di crescita in cui Lapo incontrerà molti altri personaggi: la vicina di
casa Rosa, con il suo cagnolino Stella che sempre abbaia; il magnate che prima
gli dà un lavoro e poi vuole renderlo famoso; la dolce Mirella di cui
timidamente si innamora.
Storia di una matita
racconta le avventure tragicomiche di Lapo che, con coraggio e ingenuità, si
lancia alla scoperta di un mondo che ha un gran bisogno di essere ridisegnato e
in cui, a sorpresa, non è il solo a essersi trasformato in un oggetto.
«Guarda
che non c’è nulla di strano», continuò la madre, «anch’io ho rischiato di
trasformarmi in una padella, quando passavo troppo tempo a cucinare. E poi,
quando mi hanno dato il lavoro a scuola, mi stavo per trasformare in un
quaderno a quadretti. Sarebbe stato un grosso problema. Ma per fortuna non è
successo…» [p. 94]
Ulteriori
immagini e info: http://storiadiunamatita.wordpress.com/
Michele
D’Ignazio
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