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martedì 2 giugno 2015

L'età definitiva

Giuseppe Schillaci, L'età definitiva, Bari, LiberAria, 2015, 310 pp., ISBN 88-970-8984-4

Questo romanzo qui - di Giuseppe Schillaci, palermitano di 38 anni che vive a Parigi dove fa il regista di documentari, già candidato al Premio Strega 2010 con il suo esordio “L'Anno delle ceneri” - questo romanzo qui è un grandissimo libro.
E non è un grandissimo libro perché è scritto benissimo, strutturato in brevi capitoli che si leggono tutti d'un fiato, perché ha una trama forte e costruita alla perfezione, una struttura orchestrata con tecnica magistrale, un filo unico condotto con una caparbietà e una padronanza di mezzi che rende possibili anche numerose digressioni e divertissement, monologhi surreali, aneddoti comici e grotteschi, immagini emblematiche e indimenticabili episodi estemporanei, scritti peraltro con una scintillante cura e gusto per il racconto. Non è un grandissimo libro per la sua qualità narrativa, che è di altissimo livello, un qualcosa di molto efficace e molto contemporaneo, niente a che vedere con il vecchiume immondo che copre come una patina di muffa gran parte delle pubblicazioni che riguardano la Sicilia. Non è questo.
L'età definitiva è un grandissimo libro per motivi di necessità storica, direi “generazionale”. E' un grandissimo libro perché riesce a trovare una formula per raccontare - chiamiamolo così - il “sottotesto psicologico” della Sicilia negli ultimi 20 anni. Lo straniamento, il grande silenzio, l'uscita dalla Storia. Tutto quel garbuglio di dinamiche culturali e psicosociali che hanno irretito l'Isola dopo i grandi botti di Palermo, le bombe che hanno spazzato via Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e dopo quel corollario di bombe a Milano, Firenze e Roma che possiamo paragonare ai botti finali di un funesto gioco d'artificio. Deflagrazioni assordanti dopo di cui è seguito nient'altro che - ripetiamolo - un grande silenzio, accompagnato al limite da un fastidioso fischio nelle orecchie.
Vent'anni se possibile ancora più traumatici dei vent'anni precedenti. E' il “secondo tempo” della mafia e della storia della Sicilia (e dell'Italia), come l'ha chiamato Giuseppe Rizzo su Internazionale,[1] un secondo tempo in cui però quasi non si gioca. I giocatori latitano e rimane soltanto il pubblico, e anche quello è in procinto di andarsene perché ha trovato altro da fare, altre cose con cui ottundersi e distrarsi.
Così, se negli anni '70 e '80 in Sicilia - con i morti delle guerre di mafia, i cadaveri più o meno eccellenti, gli arresti, il maxiprocesso, i pericoli, le paure, gli orrori, la rabbia e la speranza - se in quel ventennio lì si percepiva in un modo o nell'altro di “essere nella storia”, di vivere un'epoca in cui qualcosa poteva cambiare - se in quei vent'anni lì c'era insomma un passato, un presente e un futuro - adesso si è come avvolti in una nebbia di eterno presente. Solleticati da mille stimoli, perennemente ipereccitati e nervosi ma in fondo profondamente immobili, intimamente desolati. La mafia ha vinto e continua a fare affari? Lo stato ha gettato la spugna? Che ne sarà della Sicilia? Ricoprirà stabilmente il ruolo di periferia depressa dell'Europa? Tutte domande di cui abbiamo sempre più paura di rispondere, raggelati come siamo dal nostro vivacchiamento economico, emigrazione di massa e scoramento civile.
Ma torniamo al libro. Come ci riesce, l'autore, a narrare tutto questo? Non con un romanzo storico, niente non fiction o thriller politico o opera classicamente “impegnata”. Niente di tutto questo. Non ci sono infatti né personaggi storici né eventi storici, in questo libro, se non sullo sfondo (come il botto, da lontano, dell'autobomba di Capaci, mentre i protagonisti giocano a pallone).
L'autore riesce - e non so quanto consapevolmente - a narrare tutto questo grazie a una storia quasi totalmente intima e privata, ambientata a Palermo, più esattamente a Brancaccio, nel 2011-2012. Il protagonista è Nico Chimenti, 33 anni, partito da Palermo dopo il fatidico 1992 quando aveva 14 anni. Uno che ha provato a fare il musicista a Berlino, che non ha avuto successo e che ora vivacchia lavorando in un bar di Roma. Uno che ha mollato ambizioni e speranze e che gestisce il deperimento delle sue energie con un'impassibilità solo apparentemente serena. Aggiorna il suo profilo sul Social Network (Real Net) e quando è un po' nervoso si rilassa collegandosi sul sito porno (Real Sex). Nico torna a Palermo per passare il capodanno con sua madre. Troverà un lavoro presso il centro commerciale “Area Center”, palesemente ispirato al “Forum Palermo”. Finirà coinvolto in un grottesco assalto di palermitani assatanati che vogliono accaparrarsi i televisori a prezzi scontatissimi (un episodio ispirato a fatti realmente accaduti almeno due volte, vedi qui e qui).
Incontrerà delle persone che hanno fatto parte della sua adolescenza e rivivrà i furori di quella stessa adolescenza. Chiaro il paragone con lo squallore dei suoi 33 anni, mentre prima la vita sembrava ancora procedere, non si era ancora nell'eterno presente, e ogni giorno splendeva di energia, tra la rock band, le partite di calcio e i primi - importanti e spesso crudeli - giochi sessuali.
La trama prenderà presto le movenze di un intrigante thriller, con personaggi che affiorano proprio da quell'adolescenza tanto decisiva: da un lato gli ex compagni di classe Simona e Salvo, procace e ambigua commessa la prima, intrallazzatore tutto macchinoni, feste e cocaina il secondo; dall'altro lato le figure del padre e del fratello gemello di Nico, custodi di agghiaccianti segreti che finiranno per travolgere il protagonista.
Il tutto in una Palermo di periferia e di borgata, in una Brancaccio area industriale sonnolenta e pittoresca dove Ferrari “color Ferrari” vengono parcheggiate vicino alle immancabili macchine bruciate e dove si ride per una motoape piena di frutta che si impenna e si ribalta una, due, tre volte. Una città in cui la globalizzazione è arrivata senza tanti clamori, con una passività e un'irredimibilità tutta siciliana, dove le vecchie logiche di potere proliferano ugualmente anche con i grandi centri commerciali, i centri scommesse, i cinema multisala e i ristoranti giapponesi.
Un grandissimo libro, ripetiamolo per l'ultima volta. Significativo e importante da molti punti di vista - come ho cercato di spiegare - ma anche fresco e godibile, alcune volte sfacciatamente spassoso. Come si può notare qui (pag. 98):

Mi ritrovo dentro la Bmw di Salvo verso Mondello, la spiaggia di Palermo. Arriviamo davanti a una villa liberty sul mare, sul pelo dell'acqua, coi pilastri che affondano dentro la sabbia. Il Charleston, così si chiama, è un complesso abusivo d'inizio secolo, più interessante dei complessi abusivi d'inizio millennio. Al Charleston c'è l'opening day del Trino Club, un'associazione-lista-movimento; ci sarà gente dello spettacolo, della cultura, russi e americani, baroni, avvocati e commercialisti, professori, artisti cattolici e scrittori ricchi, neo-borbonici e neo-democristiani, post-comunisti e post-autonomisti e, forse, i giocatori del Palermo.
È una giornata calda, a Mondello; una serata in cui hai l'impressione che l'Africa ti soffi sul collo; Salvo ferma la Bmw in doppia fila, lascia le chiavi al posteggiatore, che riverisce e intasca la mancia. (…) Seguo Salvo, che mostra l'invito alla sicurezza e avanza come se il Charleston fosse suo, la sua villa al mare.
Salvo Pennino sfoggia il suo repertorio di saluti: baciamano semplice, doppio bacio lento e appassionato, bacio rapido e sguardo altrove, mano allungata di lato (quasi di nascosto), abbraccio da rugby, stretta di mano possente, strizzata al sedere o alle guance, baciamano mezzo inchino e giravolta. (…)
All'improvviso la musica (dozzinale swing anni Cinquanta) s'abbassa e un uomo parla al microfono: ringrazia tutti, fa molti nomi, cariche istituzionali, siciliane e di Roma, di Milano, e poi attori, cantanti, i giocatori del Palermo, anche se nessuno li ha visti.
Avvocati imbellettati e relative accompagnatrici sfilano davanti all'uomo col microfono, e l'uomo sorride, ringrazia, e parla del futuro della Sicilia, dell'Italia e dell'Europa, delle amicizie internazionali, degli accordi già fatti e di quelli da fare. Poi promette una sorpresa finale e l'euforia spumeggia tra lo folla: chi sarà? Il presidente, il candidato, il delfino, l'ammiraglio?
Ecco la sorpresa, urla l'uomo-presentatore, a voi, per noi, per il Trino Club, per la nostra terra nel mondo: Totò Schillaci, l'eroe di Italia '90!

Nino Fricano









[1] Giuseppe Rizzo, La Sicilia è una guerra in due atti, http://www.internazionale.it/opinione/giuseppe-rizzo/2015/04/03/sicilia-mafia-antimafia (ultimo accesso: 02/06/2015).

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