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martedì 2 giugno 2015

Vite in cambio

Santino Gallorini, Vite in cambio. Gianni Mineo, il partigiano infiltrato che salvò dalla strage la popolazione della Chiassa, presentazione di Ivo Biagianti, Roma, Edizioni Effigi, 2014, ill., 201 pp., ISBN 978-88-6433-434-9.

Siamo tanto assuefatti al cinema e alle storie inverosimili, coscienti della finzione, ma avidi di spettacolarità, che, a leggere il libro di Santino Gallorini sulle gesta eroiche di Gianni Mineo, rimaniamo indifferenti, convinti di una finzione, delusi per i contenuti effetti speciali.
Siamo tanto avvelenati dalla deriva (s)fascista, dal berlusconismo mediatico (che è ormai tratto distintivo della cultura italiana) e da un'indifferenza (e anche un odio) verso l'Italia, la sua storia e gli uomini che l'hanno fatta, a tal punto da ritenere ogni storia, ogni racconto, ogni testimonianza, ogni esperienza una prova di una malafede, di una menzogna a uso e consumo dell'interesse di qualcuno.
Per questi motivi non siamo abituati alle storie come quella di Gianni Mineo, partigiano bagherese diventato "eroe della Chiassa" per aver salvato 200 persone a pochi minuti dalla fucilazione che i tedeschi avevano ordinato come rappresaglia al rapimento, da parte di una banda di slavi evasi dopo l'8 settembre dal campo di concentramento di Renicci (Anghiari), del colonnello Maximilian von Gablenz.
Non siamo abituati alla storia, confermata dalle fonti e dalle testimonianze di chi era presente e di chi visse tragicamente quei momenti di qualcuno che mette a rischio la propria vita per salvare quella di altri.
Siamo così negletti e meschini che ci voltiamo quando vediamo la "banalità" di una buona azione. Siamo così sporchi e coinvolti nella politica del "tutto oggi che domani non si sa", che ci piace denigrare chi ha fatto una scelta, chi ha deciso da parte stare usando la coscienza e non il mero profitto.
La storia della Resistenza e dei partigiani è prima di tutto storia di donne e di uomini, che hanno fatto una scelta, una scelta precisa: da quale parte stare. La parte di chi vuole lottare per cacciare i tedeschi che hanno invaso la penisola e liberare l'Italia, ma soprattutto per terminare una guerra incomprensibile, ingiusta, assurda, folle.
Santino Gallorini, con metodo storico e intuito di cacciatore di tracce, ricostruisce attraverso le fonti d'archivio, le testimonianze dei sopravvissuti e le memorie lasciate da Gianni Mineo, un capitolo della Resistenza, che insieme con le altre pagine di storia di quei tragici anni '40, contribuisce a rendere più chiara la storia italiana e chi sono gli italiani, che hanno permesso un riscatto democratico di una nazione stuprata dalla dittatura fascista.
Il merito di Santino Gallorini è di aver reso questo libro importante sotto molti aspetti, di cui due ritengo essere essenziali. Inutile ribadire poi il contributo che questo libro dà alla storia di Arezzo e della Toscana, e nello stesso tempo alla storia della Resistenza, e in particolare del contributo dei siciliani alla liberazione dal nazifascismo.
Il primo aspetto importante di questo libro è stato quello di raccogliere e far venire alla luce la bella vicenda di Gianni Mineo, altrimenti dimenticata «nelle pagine di un libro sfascicolato sul marciapiede presso la stazione di Arezzo». Una vicenda che Franco Ciminato, responsabile dell'ANPI di Bagheria descrive come «una storia dei paladini di Francia uscita da una pala dei Fratelli Ducato, Mineo con il suo inseparabile cavallo bianco, sembra la materializzazione di quei personaggi, nato in una Bagheria mitica che, Ignazio Buttitta altro partigiano e poeta, ci ha cantato insieme a Ciccio Busacca, o che Renato Guttuso ci ha dipinto nella serie dedicata alla resistenza per l'appunto, sembra un ritratto uscito da una foto e narrata in quel capolavoro che è Quelli di Bagheria di Ferdinando Scianna. Sembra una parte mancante nel film Baaria, o uno spezzone proiettato dentro il film Nuovo Cinema Paradiso di Peppuccio Tornatore».
 Il secondo aspetto importante è l'attenzione rivolta ai vivi, i 200 salvati dall'eroe bagherese e agli stessi Mineo e Rosario Montedoro, che dopo la guerra tornarono ad essere cittadini e lavoratori, e non ai morti, superando in questo modo un'assurda contrapposizione di natura ideologica, che si riduce miseramente alla conta dei morti di una parte e dell'altra per vedere chi ha ragione.
Questo libro fa bene all'anima, poiché dà la possibilità di ritrovare una dimensione umana dell'impegno e del sacrificio per gli altri, che la frenesia politica e tecnologica di questi ultimi anni inesorabilmente corrode.


Piero Canale



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