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giovedì 5 settembre 2013

Diceria dell'untore



Gesualdo Bufalino, Diceria dell’untore, Milano, Bompiani, 2008, 188 pp., 978-88-4529-152-4.

Il libro descrive la vita di alcuni degenti di un sanatorio che appaiono subito come  condannati in attesa di esecuzione. Ammalati e medici vivono ciascuno la propria parte, reagendo all’atmosfera cupa dominante nel nosocomio.
Basato su un’esperienza autobiografica dello scrittore, viene presentata al lettore una prospettiva originale, con un insolito cast di personaggi: un giovane soldato malato di tisi, una ballerina e il primario chiamato “il Gran Magro”. In un sanatorio della Conca d’Oro, nella Sicilia occidentale, amministrato da un primario nobile e alcolizzato, viene descritta un’atmosfera noir, se non fosse per il profumo degli aranci e per il chiarore del sole della Sicilia. Una sentenza dolorosamente sospesa, che non lascia alla speranza che una possibilità di sopravvivenza su tre. Tra la ballerina e il soldato scaturisce un amore senza futuro, ostacolato dalla gelosia del Magro e dalla sorveglianza ferrea che la guarnigione di monache amministra a presidio di una rigorosa segregazione. La condizione del malati è un segno di sofferenza o di privilegio, un indizio di diversità, di estraneità alla vita, ai suoi modesti e prosaici valori. Il binomio arte-malattia diviene in Bufalino una categoria estetica, il metro di giudizio con cui misurare l’atteggiamento dello scrittore di fronte alla vita, il suo modo di accertarne la diagnosi. Il senso della vita, sentita dunque come una irreparabile malattia, è uno dei punti di forza della poetica bufaliniana. Bufalino parte da una condizione squisitamente autobiografica della malattia, ma leopardianamente ne supera i confini elevando la sua condizione di malato e quindi di diverso, alla dimensione dell’arte, nel senso più ampio del termine.
«…non sono felice e mi chiedo perché. Forse questa consunzione che porto nella carne mi va guastando anche l’anima» [p. 71]. Gran costruttore di personaggi, ispiratore di atmosfere incantate, tratta i fatti oggettivi come favola, senza stancarsi, tuttavia, di ragionare sulle cose; e allora la meditazione scava negli oggetti e nelle figure imboccando la via della meraviglia.
Gesualdo Bufalino ebbe riluttanza a pubblicare, infatti diede alle stampe il suo primo libro a sessant’anni, dopo una lunga opera di convincimento da parte di Elvira Sellerio e Leonardo Sciascia. Nel 1981 l’opera esplode immediatamente in tutto il suo valore e si trasforma in un caso letterario che culmina con l’assegnazione del Premio Campiello. Il suo primo editore è sempre Sellerio ma rotti gli indugi, l’autore comisano, intrattiene collaborazioni anche con Einaudi e Bompiani. Autore di saggi, poesie, romanzi e traduzioni, Bufalino di volta in volta affronta i suoi temi più cari elevandoli a dignità letteraria, tramite uno stile alto, ricco di metafore, ossimori e simboli.

Biagio Bertino



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