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venerdì 5 luglio 2013

Il ritorno del principe



Saverio Lodato e Roberto Scarpinato, Il ritorno del principe, Milano, Chiarelettere, 2008, 347 pp., ISBN 978-88-6190-056-1.

Il ritorno del principe è l'analisi politica, sociale e storica della criminalità al potere, ovvero del potere criminale in Italia. In che modo il Principe mantiene il suo potere: con l'assenza di meritocrazia, con le nomine dal vertice (vedi legge elettorale), oscurando l'informazione su indagini e processi che vedono come imputati i colletti bianchi. Non dobbiamo preoccuparci, quindi, solo di Riina e Provenzano: ma del potere criminale che si serve di loro.
In che modo il Principe amministra il potere? Secondo i consigli del Machiavelli: “il fine giustifica i mezzi”. E quali sono i mezzi con cui raggiungere questo fine? Essenzialmente – secondo l'analisi del Procuratore Antimafia Roberto Scarpinato – la corruzione, la mafia e il terrorismo stragista. I soldi per comprare consenso, avversari e potere. La mafia per  il controllo del territorio, ma anche per corrompere e monitorare la società. Lo stragismo come estremo rimedio, per creare confusione, paura, tensione.
È mai possibile che Totò Riina e Bernardo Provenzano abbiano potuto vivere tranquillamente la loro latitanza quarantennale, riuscendo a sfuggire all’arresto così a lungo? È ipotizzabile che Cosa Nostra conoscesse esattamente  gli spostamenti del giudice Falcone, tanto da approntare, con settimane di anticipo, l’attentato dinamitardo di Capaci?
Il giudice Scarpinato (già a fianco di Falcone e Borsellino prima e Caselli dopo) e il giornalista Saverio Lodato hanno voluto allargare il discorso sulla mafia e inserirla in una cornice prettamente storico-culturale. Si può parlare, in Italia, di una storia criminale della classe dirigente? Gli autori fanno riferimento ad una vocazione perpetua alla violenza da parte delle classi dirigenti italiane, che utilizzano perfino l’omicidio e la violenza fisica, come strumenti concorrenziali in un mercato dove il fine da raggiungere è l’assunzione di posizioni monopolistiche.
In molte occasioni le classi dirigenti e la loro rappresentanza politica (sia a destra che a sinistra) hanno mostrato di preferire la lotta alla magistratura piuttosto che quella contro la criminalità organizzata.  Giustizia e iter processuali sono stati oggetto di numerosi rimaneggiamenti e proposte di riforma, spesso discutibili; in nome di un apparente garantismo si nascondono, piuttosto, veri e propri tentativi di regalare per legge l’impunità  ai colpevoli.
In Italia, in altri termini, la violenza della classe dirigente e la copertura prestata dalla rappresentanza politica alla criminalità, risalirebbero alle teorie di Machiavelli e al franco elogio che l’intellettuale fece di assassini come Cesare Borgia. Nei testi dello storico è possibile cogliere una peculiarità socio-culturale propria degli italiani e un modello di comportamento che dimostra, secondo Scarpinato, «la normalità della pratica dell’omicidio e dell’astuzia sleale nella lotta politica, in dispregio di ogni regola e criterio di lealtà, anche nello scontro militare» [p. 86].

 Biagio Bertino



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